ROMA\ aise\ - “Riconoscendo il profilo istituzionale dei Patronati” si applica “la causa diineleggibilità dei loro membri all'interno dei Com.It.Es, così come previsto dall'art. 5 co. 4 della L. 286/2003”. È quanto si legge nel parere diffuso il 21 luglio dall’Ufficio competente per i Comites alla Direzione generale per gli italiani all’estero del Maeci.
Si tratta di un parere interpretativo - frutto anche della consultazione con il Servizio Affari Giuridici del Ministero – redatto per rispondere alle tante richieste giunte alla Farnesina dalla rete diplomatico-consolare in seguito alle recenti elezioni dei Comites.
Un parere che, da un lato, chiarisce una questione molto dibattuta, che in alcuni casi ha prodotto anche ricorsi al Tar e in altri causato lo stallo dei nuovi Comitati, ma che dall’altro rilancia la palla ai Comitati visto che “appartiene, in via esclusiva, ai Com.It.Es. la responsabilità e la competenza di deliberare in materia di cause di ineleggibilità o incompatibilità, come prescritto dall'art. 7 del DPR 29 Dicembre 2003 , n. 395".
Di seguito il testo del parere.
Si tratta di un parere interpretativo - frutto anche della consultazione con il Servizio Affari Giuridici del Ministero – redatto per rispondere alle tante richieste giunte alla Farnesina dalla rete diplomatico-consolare in seguito alle recenti elezioni dei Comites.
Un parere che, da un lato, chiarisce una questione molto dibattuta, che in alcuni casi ha prodotto anche ricorsi al Tar e in altri causato lo stallo dei nuovi Comitati, ma che dall’altro rilancia la palla ai Comitati visto che “appartiene, in via esclusiva, ai Com.It.Es. la responsabilità e la competenza di deliberare in materia di cause di ineleggibilità o incompatibilità, come prescritto dall'art. 7 del DPR 29 Dicembre 2003 , n. 395".
Di seguito il testo del parere.
“Come noto, con riferimento alla Legge 152/2001 che ne resta la principale base normativa, i Patronati vengono qualificati come "persone giuridiche di diritto privato che svolgono un servizio di pubblica utilità" (art. 1). Sono tuttavia presenti all'interno dello stesso corpus normativo ulteriori elementi che si pongono in tensione dialettica con la figura di "ente privato" tout court, giungendo a definirli (i Patronati) una realtà organizzativa che si può far rientrare nel concetto di "servizio di pubblica utilità".
Gli Istituti di Patronato sono enti di assistenza sociale senza fini di lucro, costituiti e gestiti dalle confederazioni o dalle associazioni nazionali dei lavoratori (art. 2).
Svolgono funzioni di assistenza, rappresentanza e tutela in favore dei lavoratori, dei pensionati e di tutti i cittadini, sia sul territorio dello Stato che all'estero. Si occupano di fornire consulenza e assistenza gratuita nello svolgimento delle pratiche pensionistiche, previdenziali o assistenziali. Inoltre, possono fornire assistenza giudiziaria ed altri servizi, in particolare in ambito fiscale e in materia di salute e sicurezza sul lavoro (artt. 7-10).
L'ampio spettro di competenze assegnato dalla legge, unito alla rilevante platea di potenziali beneficiari, ha indotto parte della dottrina a qualificarli come "enti a fini generali", trattandosi di istituti che, a dispetto dell'attribuzione legislativa di natura privata, "rientrano nella pubblica amministrazione in senso ampio, in quanto soggetti che svolgono, come attività essenziale, funzioni amministrative: attività svolte nel perseguimento di un interesse fatto proprio dalla legge, che ne richiede il soddisfacimento". Si spiegherebbe in tal modo la presenza di significativi indici pubblicistici, che producono uno scostamento dal modello associazionistico privato: il finanziamento pubblico, erogato in favore dei Patronati attraverso un fondo apposito accantonato presso gli Istituti di previdenza (art. 13), il carattere tendenzialmente gratuito e generalizzato delle prestazioni offerte (art. 8, co. 2), le esenzioni fiscali (art. 18), il penetrante controllo esercitato dal Ministero del Lavoro, che autorizza la costituzione degli Istituti (art. 3), vigila sul corretto svolgimento delle attività di patronato (art. 15), arrivando a nominare un Commissario "in caso di gravi irregolarità amministrative o di accertate violazioni del proprio compito istituzionale" (art. 16). Tali elementi delineano quindi i caratteri di un'attività paraamministrativa, di supporto o frequentemente sostitutiva di quelle tipiche della P.A.
La natura pubblicistica derivante da tale configurazione finisce in tal guisa per soverchiare la genesi privata dell'Ente e conferirgli natura istituzionale.
La Corte Costituzionale, inoltre, ha avuto modo di fornire elementi indiretti sulla collocazione di tale compito istituzionale all'interno dell'ordinamento giuridico e su quale sia il suo peso specifico atteso che i Patronati svolgono, per espressa definizione legislativa, un compito istituzionale finanziato e controllato dallo Stato. La Consulta si è pronunciata in materia con sentenza n. 42 del 7 febbraio 2000, escludendo l'ammissibilità di referendum abrogativo della legge regolatrice a suo tempo dei Patronati (d.l. C.p.S. n. 804 del 1947 e successive modificazioni). Secondo la Consulta i diritti di natura previdenziale dei lavoratori, riconosciuti dall'art. 38 della Costituzione, sono concretamente garantiti proprio dalla tutela offerta nei procedimenti amministrativi e giurisdizionali dagli Istituti di patronato in qualità di "organo integrato dallo Stato". In tale ricostruzione i Patronati assolvono così un ruolo cardine nel rendere effettiva e "pubblica" la garanzia previdenziale voluta dalla Costituzione, al punto tale da non essere ammissibile l'ipotesi di una loro eventuale abrogazione per via referendaria. Appare quindi evidente che il ruolo istituzionale dei Patronati non deriva tanto dalla natura pubblica o privata della loro forma organizzativa, quanto dall'aspetto "funzionalizzato" delle attribuzioni ad essi conferite, che rendono la loro stessa esistenza "necessitata" per la concreta attuazione di cogenti prescrizioni costituzionali.
In conclusione, si ritiene di dover pervenire alle medesime conclusioni formulate a suo tempo dall'Ufficio Legislativo, riconoscendo il profilo istituzionale dei Patronati e, conseguentemente, l'applicazione della causa di ineleggibilità dei loro membri all'interno dei Com.It.Es, così come previsto dall'art. 5 co. 4 della L.286/2003.
Come già fatto a suo tempo, occorre peraltro ribadire come il presente parere ponga a disposizione della rete diplomatico-consolare elementi interpretativi della legge, ma che appartiene, in via esclusiva, ai Com.It.Es. la responsabilità e la competenza di deliberare in materia di cause di ineleggibilità o incompatibilità, come prescritto dall'art. 7 del DPR 29 Dicembre 2003 , n. 395". (aise)
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