30 gen 2012

IL DRAMMA DELLA CONCORDIA

SCHAAN\ aise\ - La tragedia della Costa Concordia di fronte all’Isola del Giglio resterà a lungo nella memoria degli italiani. “Un tragico incidente che non poteva e non doveva avvenire”, ha detto l’amministratore delegato della Compagnia.

 Che purtroppo però ha altri precedenti sulle coste italiane: il 10 aprile 1991 il traghetto Moby Prince entra in collisione con la petroliera Agip Abruzzo, muoiono 140 persone; il 28 marzo 1997 la nave albanese Kater Rades affonda al largo di Brindisi dopo una collisione con la corvetta della marina militare italiana Sibilla, le vittime sono state 108; il 14 febbraio 2000 al largo di Guardavalle, tra le province di Catanzaro e Reggio Calabria, il mercantile italiano Espresso Catania, entra in collisione con la motonave portoghese Zafir, muoiono 14 marinai spagnoli; il 29 giugno 2005 il peschereccio Padre Pio affonda al largo dell’isola di Ischia, dopo una collisione con la nave cisterna Audace, muoiono i tre uomini del peschereccio; il 15 gennaio 2007 si scontrano nello Stretto di Messina un aliscafo e la nave Susan Borchard, muoiono 4 membri dell’aliscafo.
Molti di noi inoltre ricorderanno la tragedia della Heleanna, la nave passeggeri greca che durante il viaggio da Patrasso ad Ancona fu devastata da un incendio. Un dramma, al largo delle coste di Brindisi, che costò la vita a 34 persone e provocò 271 feriti. “Anche allora ci fu un errore umano, anche allora l’allarme scattò troppo tardi. Dopo quarant’anni non è cambiato nulla”, ha detto amaramente Vergilia Starnini di Fabriano (Ancona), una superstite di quel naufragio. Verità provata dai ritardi nell’annunciare il disastro, dal caos in cui sono stati lasciati per ore i passeggeri, all’impreparazione con cui si sono svolte le operazioni di salvataggio. Il naufragio avrebbe potuto avere conseguenze ancora più tragiche, se non ci fossero stati, tra i tanti errori umani, anche molti gesti di eroismo e di generosità.
L’immagine della Concordia, come una balena spiaggiata, ha fatto il giro del mondo e resterà nella memoria di tutti, consegnando alla storia la fotografia di un’Italia che si dibatte, ancora una volta, tra coraggio e viltà, tra inefficienza e voglia di riscatto, debole nella prevenzione, generosa nei soccorsi.
Tutto ciò a cent’anni esatti dalla tragedia del Titanic, il transatlantico definito “inaffondabile”, inabissatosi invece miseramente durante il suo viaggio inaugurale, la notte tra il 14 e il 15 aprile del 1912. Un evento che scosse tutto il pianeta, proprio come oggi per la Costa Concordia, e che provocò un mare di inchieste, commenti, rievocazioni, romanzi, poesie, film e... prediche. I predicatori di allora, più portati al moralismo di quelli di oggi, parlarono molto, anche per reagire all’orgoglio illuminista che vedeva nella tecnologia e nella scienza la soluzione di tutte le problematiche della vita degli uomini. Il vecchio Dio in quell’epoca, la “belle époque”, per molti era finito o condannato a finire in soffitta insieme a tutta l’anticaglia oscurantista. Quei predicatori, dopo il disastro del Titanic, ebbero buon gioco a parlare contro la superbia umana, spinta talvolta alla bestemmia.
Ma non credo che quelle prediche abbiano potuto davvero convertire qualcuno. Nessuno infatti potrebbe orientare il proprio cuore verso un Dio permaloso e vendicativo. D’altra parte l’uomo è così stolto da non imparare a misurare le parole nemmeno di fronte a smentite così clamorose come appunto l’affondamento dell’inaffondabile.
Se io fossi stato prete nel 1912, non so come mi sarei salvato dal moralismo dei predicatori del tempo. Ma mi è chiaro che Dio non smentisce l’orgoglio dell’uomo divertendosi a buttare all’aria i suoi castelli di sabbia. Se mai lo fa in un altro modo: agendo secondo una logica lontana e a volte perfino opposta alla nostra. Tanto è vero che ha accettato l’umiliante morte sulla croce.
Umanamente tutto da ridere. In un’ottica di fede il clamoroso affondamento dell’inaffondabile prima ancora della fine del viaggio inaugurale mi fa pensare, per associazione d’idee, alla barchetta di Pietro, che invece sta navigando da più di 2000 anni. Ha superato tempeste immani, assalti feroci di tanti pirati della storia, l’inadeguatezza frequente, spesso gravissima, dei suoi capitani e ufficiali, passività e litigiosità del suo equipaggio. E se, dopo due millenni, quella barchetta naviga ancora è segno davvero che la Chiesa non è una costruzione degli uomini, ma è stata veramente voluta ed è ancora sostenuta dal Signore.
È chiaro, il confronto fra il Titanic e la Chiesa è solo metaforico. Al di là di tutto, però, non viene anche a voi da pensare che la sgangherata barca di Pietro abbia tutto sommato un bel grado di inaffondabilità? Certo, il segreto non è di tipo idrodinamico o strutturale e men che meno sta nella qualità dei comandanti e dell’equipaggio. A bordo, già fin dall’epoca del varo, c’è un Signore che a volte pare addormentato, ma in realtà è così presente che un ufficiale in seconda, Paolo, ha potuto dire: “Se Lui è con noi, chi sarà contro di noi?”. Per grazia di Dio, senza merito nostro, ci troviamo imbarcati sulla povera barchetta del pescatore di Betsaida. Molti ci ridono dietro, perché a, guardarla, sembra una carretta del mare. “Quelli non andranno lontano”, dicono ghignando. In realtà l’Armatore nel vararla ha assicurato che non ci saranno né tsunami né iceberg che potranno farla affondare, né pirati che potranno distruggerla. E finora nessuna smentita.
Felici di fare parte dell’equipaggio, aggiungiamo dunque al giornale di bordo anche questo anno da poco iniziato. Sperando che questi drammi, come quello del Titanic e della Concordia, servano a farci riflettere. E, possibilmente, a migliorare. (egidio todeschini\aise)

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