19 gen 2014

RETE CONSOLARE/ DASSÙ IN SENATO: VI ABBIAMO ASCOLTATO/ SULLA DIPLOMAZIA EVITIAMO GLI STEREOTIPI/ PRONTO “FARNESINA 2015”

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ROMA\ aise\ - Nuovo appuntamento con Marta Dassù in Parlamento. Il vice ministro degli esteri è tornata a riferire sulla rete consolare di fronte alle Commissione Esteri di Camera e Senato, alla luce dei nuovi provvedimenti presi dalla Farnesina.

Le chiusure confermate sono quelle definite dal Mae a dicembre: una lista elaborata dopo il confronto e le indicazioni giunte al Ministero da parlamentari, Cgie e sindacati e che si inserisce in un piano più ampio di politica estera che il Mae ha sintetizzato in un documento, "Farnesina 2015", che domani sarà sulla scrivania delle Commissioni che, su questo, torneranno ad ascoltare il viceministro la prossima settimana.
Come ribadito dal presidente della Commissione Esteri del Senato Casini, posto che "il riordinamento della rete è ineludibile e inevitabile", le commisisoni devono "riconoscere la disponibilità del Governo al confronto" nella consapevolezza della diversità dei ruoli: "compito dei parlamentari è quello di controllare e dare indicazioni, ma è l’Esecutivo a dover fare delle scelte e ad assumersene la piena responsabilità".
Annotazione che ha trovato d’accordo il Vice Ministro Dassù, che ha esordito citando la prima lettera che il Ministro Bonino invitò alle Commissioni Esteri subito dopo la sua nomina. In essa, Bonino ribadiva che la riorganizzazione della rete consolare era – ed è - per il Mae "un inderogabile obbligo giuridico". Detto questo, per Dassù, in questi mesi è stato "importante ed utile" il confronto sia con "parlamentari, cgie e sindacati", ma anche con i suoi omologhi inglesi francesi e tedeschi che stanno, al pari dell’Italia, ristrutturando le rispettive reti diplomatiche. Un confronto che ha prodotto alcuni effetti: "abbiamo preso atto che i dubbi sull’Australia erano fondati e abbiamo rivisto le nostre decisioni", ha citato a mo’ di esempio Dassù. Ma, più in generale, è stata "confermata la linea di ristrutturazione della rete: spostare le risorse dall’Europa verso i mercati emergenti". Quindi grandi tagli in Svizzera e Germania, per esempio, e nuove aperture in Cina, Vietnam e Turkmenistan.
"È un processo in corso anche in altri Paesi europei – ha ricordato Dassù – perché tutti hanno lo stesso obiettivo: risolvere lo squilibrio tra risorse economiche e umane, che diminuiscono ovunque" per far fronte "ai nuovi equilibri mondiali". Sulla ristrutturazione, ha aggiunto, "siamo in ritardo rispetto ai nostri partner europei che hanno iniziato prima di noi".
Dunque avanti sulle linee-guida sempre convintamente sostenute dalla Farnesina, che Dassù ha sintetizzato così: "riduciamo la centralità dei servizi consolari in Europa, dove i connazionali hanno comunque delle tutele", connazionali "cui comunque offriremo servizi consolari adeguati, attraverso misure compensative per posizionare l’Italia coerentemente al mondo di oggi".
Il nuovo Consolato in Cina, ad esempio, "sarà fondamentale per Expo 2015: la Cina investirà 60 milioni di dollari, dalla rete ci aspettiamo 1 milione di visti".
Al tempo stesso "non dobbiamo penalizzare connazionali": dove chiuderanno sedi "ci saranno disagi iniziali, certo, ma saranno predisposte misure compensative e strumenti nuovi: mi riferisco al Consolato strategico, "hub" per ogni Paese, e aumenteremo il tasso di digitalizzazione".
Per spiegare cosa stanno facendo gli altri Paesi, Dassù ha illustrato il piano della Gran Bretagna "che ha una forte diaspora". Solo in Italia, ha ricordato, "hanno chiuso i Consolati di Firenze, Venezia e Napoli, hanno creato 3 centri globali di contatto a Malaga, Hong Kong e Ottawa che da marzo 2014 riceveranno tutte le richieste consolari che poi verranno smistate; i passaporti da quest’anno verranno fatti tutti in Gran Bretagna".
"Noi – ha proseguito – continuiamo ad innovare; per le Ambasciate significa sfruttare le sedi messe in comune – penso a Santo Domingo con la Germania e l’Honduras – e a strategie più attive con il Seae. Dobbiamo aumentare il numero dei contrattisti locali, che comunque sono già aumentati a 2632 unità, mentre i diplomatici sono diminuiti".
"Sappiamo ascoltare, non deflettiamo dalla strategia che per noi è giusta ma sappiamo ascoltare", ha sottolineato Dassù. "Ma anche voi dovreste avere la pazienza di ascoltare noi. Dovremmo avere tutti la voglia di lavorare insieme, invece di scagliarci contro come uno dei migliori servizi diplomatici del mondo quale è quello italiano".
Secondo Dassù, "ci si è troppo soffermati sui dettagli e si è persa la visione globale di politica estera". Visione che ha sintetizzato in tre punti.
Il primo la sicurezza messa in discussione dalle crisi che hanno destabilizzato alcune zone del mondo, di fronte alle quale c’è bisogno di una "forte azione diplomatica" per proteggere l’Italia e per restare "un full spectrum actor". Questo perché "la sfida generale della politica estera dell’Italia è quella di trasformare la nostra posizione geopolitica molto esposta, a strumento di vantaggio di tutto il Paese".
Al secondo punto "un lavoro attento per la diplomazia economica o della crescita, visto che l’Italia dipende dall’estero sia per le forniture energetiche che per l’aumento dell’export". Infine, il nostro Paese è caratterizzato da "vecchia e nuova emigrazione ma anche dall’immigrazione", fenomeni "da vedere come risorse, non come problemi da affrontare".
Quindi, le "tre missioni di un Mae moderno sono: sicurezza, economia e difesa dei connazionali. Che sarebbe facilissimo se avessimo soldi, ma non è così. Quindi siamo obbligati a fare scelte. Il documento “Farnesina 2015” seleziona le priorità, operazione sempre molto difficile, per dare un senso alla nostra politica estera".
La "selezione" dipende da tanti fattori: "nelle aree dai confini instabili noi ci dobbiamo essere", ha spiegato Dassù citando Balcani, Russia, Asia centrale, Mediterraneo e Golfo. Idem per le "aree lontane", dove occorre "garantire la nostra presenza culturale ed economica. Penso, ad esempio, all’America Latina". "Riduciamo la nostra presenza in Europa, come fanno anche tutti i nostri partner", ha ribadito.
Infine, l’accenno al dibattito su diplomazia, Ise e agli articoli apparsi a dicembre su Panorama. Articoli "discutibili e pieni di stereotipi", secondo dassù, secondo cui la diplomazia "non è superata", è cambiata diventando "il perno di un sistema di relazioni internazionali più vasto che nel passato; il diplomatico è il coordinatore di uno sforzo complessivo che coinvolge molte altre amministrazioni dello Stato, ma anche privati e società civile". Per questo "la qualità delle risorse umane è la caratteristica essenziale nei Ministeri degli esteri di tutto il mondo. È un dato decisivo perché per riuscire ad analizzare i messaggi degli interlocutori e individuare strategie efficaci, il diplomatico deve saper giocare in squadra, deve avere una visione aperta, essere un mediatore culturale, avere nuove competenze generali e capacità linguistiche superiori al passato, correre dei rischi personali, come nel 2013 è successo al nostro console a Bengasi o dai diplomatici a Kabul, guidare la sede con competenze economiche e culturali. Ci saranno sempre funzionari migliori e peggiori, ma questa è la professione del diplomatico, difficile e qualificata". Questo, ha spiegato ancora, "per dire: stiamo attenti prima di decidere di distruggere una parte dell’amministrazione pubblica che rende un servizio di sicurezza al Paese. Separiamo questo dal problema delle remunerazioni, anche qui c’è buona parte di stereotipi, ma è un capitolo che stiamo riesaminando, per rendere il sistema più leggibile e confrontabile con quello degli altri paesi".
Quanto alla "qualità della politica estera", Dassù ha sostenuto che "è sempre stato difficile misurarne l’efficacia". Ora ci sta provando lo European Council for Foreign Relations che elabora una "score card" per ogni Paese. Il primo rapporto uscirà quest’anno, ma "sappiamo già che il nostro score di quest’anno è molto positivo". Concludendo, Dassù ha ribadito che "nell’interesse dell’Italia e degli italiani abbiamo bisogno di funzionari preparati e motivati; abbiamo alcuni dei migliori diplomatici del mondo, non seppelliamo tutto sotto proposte estemporanee".
Nel dibattito, Porta (Pd) ha ringraziato il Governo "che ha saputo ascoltare" e che, di conseguenza, ha deciso "riassestamenti apprezzabili, come in Australia o Durban, in Nord e Sud America, però rimangono alcune perplessità sull’entità dei risparmi che non sembrano proporzionali allo sforzo, né chiari o configurabili".
"I servizi consolari devono essere mantenuti, lo dite anche voi, ma – ha ricordato – dobbiamo anche prendere atto che tutti gli esperimenti – consolato digitale, itinerante, call center – non hanno prodotto i risultati sperati. È giusto che i connazionali abbiano delle perplessità". Perplessità che riguardano soprattutto i criteri con cui sono state scelte le sedi: "chiudiamo per punti ma non per entità della spesa, eclatante – per Porta – è il caso-IIC". Dunque serve "una verifica seria della spesa del Mae, senza caccia alle streghe, ma sapendo che ci sono ampi margini", ha sostenuto Porta, che ha citato "l’Ise da rivedere, una politica più seria sul patrimonio immobiliare, un’azione coraggiosa sul fronte delle entrate perché non è possibile che le percezioni consolari siano ancora estranee al Mae, né pensare che tutti i servizi devono essere gratuiti".
Per Mussini (M5S) la Farnesina deve fare sforzi maggiori sulla trasparenza, visto che "da agosto chiediamo dei dati che ancora non ci sono stati forniti". Quanto al metodo di scelta delle sedi da chiudere "non ci è piaciuta la lista data ai gruppi" perché "ha incoraggiato una sorta di contesa tra interessi portati avanti dalle parti, che fanno salvare alcune sedi e cancellare altre". "Non siamo convinti che siano stati seguiti i criteri enunciati da Bonino il 15 maggio scorso: parlava della priorità della promozione economica e della crescita, ma non cresciamo solo in Cina: L’export in Turchia è aumentato del più dell’80% e chiudiamo l’IIC di Ankara". Quanto alle chiusure della Gran Bretagna, "l’inglese si autopromuove, l’italiano no. In questa lista – ha aggiunto Mussini – gli IIC da chiudere sono aumentati, allora non capisco più. Avremmo voluto vedere una chiara indicazione di quanto si vuole risparmiare, su come verranno mantenuti i servizi, e il piano di riqualificazione della spesa. Il Mae dice che alcune spese non sono rimodulabili e quindi dico ai colleghi: il Parlamento è competente per cambiare le leggi e rivedere la normativa su quali sono le spese rimodulabili e quali no. A tutti voi chiedo se c’è disponibilità a farlo".
Anche Zin (Maie) ha ringraziato Dassù "perché hanno ascoltato i nostri argomenti, nessuno ha fatto lobby né pressioni per chiudere questa o quella sede".
Perplessa l’onorevole Spadoni (M5S) soprattutto per i tagli degli IIC, su cui, a suo parere, andrebbe coinvolto il Mibac. "Abbiamo richiesto e non ricevuto i bilanci degli IIC che non sono pubblicati sui siti: ad ora ne abbiamo 7 su 90, c’è una mancanza di trasparenza che vediamo non solo in questo campo, ma anche nella relazione sulla cooperazione che è aggiornata ancora al 2011".
Quindi, a titolo personale, Spadoni ha concluso: "in Parlamento ci spelliamo le mani sulla violazione dei diritti umani. La Cina viola questi diritti, la Russia pure. Poi c’è il business e l’Italia e l’Ue chiudono gli occhi. È un’incoerenza imbarazzante".
Nella replica, Dassù ha ribadito che "se chiudiamo gli uffici non è per risparmiare, ma perché la spending review dice "riducete la rete" e noi lo facciamo. Anche perché, ripeto, c’è lo squilibrio tra sedi e risorse: 327 sedi e 800 diplomatici significa andare in un’ambasciata e trovare il deserto dei Tartari".
Sull’accenno alle "pressioni" fatto dalla senatrice Mussini, Dassù ha risposto piccata: "ma che significa parlare di quale testa cade e quale no? Qua parliamo di una visione di politica estera, non c’è nessuno scambio. Sono decisioni che abbiamo preso". Ancora ai 5 Stelle, il Vice Ministro ha annunciato che in "Farnesina 2015" sono indicate anche le spese di bilancio, sostenendo che "i bilanci degli IIC fanno piangere".
"La cultura non si promuovere solo con l’IIC, non è l’unico modo: noi avremo un grande Istituto per ogni Paese più gli addetti culturali. Ad Ankara ci sarà un addetto cult che farà quello che fa l’IIC". (ma.cip.\aise)

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