(NoveColonne ATG) Roma - Erano le 20.59
e 45 secondi del 27 giugno 1980 quando il Dc-9 I-Tigi Itavia, in volo da
Bologna a Palermo, scomparve dal radar del centro di controllo aereo di Roma.
Decollato in ritardo, atteso per le 21.13, l’aereo non atterrò mai allo scalo
palermitano di Punta Raisi.
All’alba del giorno dopo, tra Ponza e Ustica, in
acque internazionali, furono rinvenuti, insieme ai resti dell’aereo, i primi
corpi delle 81 vittime, tra cui 11 bambini. Come il Dc-9, a oltre trentadue
anni di distanza, anche la verità sembrava non arrivare mai. E quelle ore di
angosciosa attesa all’aeroporto si sono trasformate per i parenti delle vittime
in anni di angosciosa attesa della verità, di profondo dolore e rassegnazione,
di fronte all’inseguirsi di tesi e contro-tesi e al nulla di fatto in sede
penale. In sede civile, invece, si è messo finalmente un punto fermo in questa
tragica storia. La strage di Ustica fu causata da un missile e non da
un’esplosione interna al velivolo: ad affermarlo la Cassazione, nella prima
sentenza definitiva che condanna lo Stato a risarcire i familiari delle vittime
per non aver garantito la sicurezza dei cieli con sufficienti controlli dei
radar, sia civili che militari. Secondo la Suprema Corte risulta
“abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile” che è stata
accolta dalla Corte di Appello di Palermo come fondamento delle richieste
risarcitorie da parte dei parenti delle vittime. Nella sentenza della Terza
sezione civile della Cassazione vengono rigettati i ricorsi del ministero della
Difesa e dei Trasporti contro la richiesta di risarcimento dei familiari di tre
vittime, che si sono rivolti per primi in sede civile, poi seguiti da quasi
tutti gli altri. Tra le motivazioni addotte dai due dicasteri, difesi
dall’Avvocatura generale dello Stato, quelle che il disastro aereo era ormai
prescritto e che non si poteva imputare “l’omissione di condotte doverose in
difetto di prova circa l’effettivo svolgimento dell’evento”. Motivazioni
entrambe respinte dalla Cassazione, secondo la quale “non è in dubbio che le
Amministrazioni avessero l'obbligo di garantire la sicurezza dei voli”, mentre
è stato accolto il reclamo dei familiari delle tre vittime: la Suprema Corte ha
inoltre rinviato alla Corte di Appello di Palermo la valutazione se possa
essere dato un risarcimento più elevato rispetto al milione e 240mila euro
complessivamente liquidato.
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