A cura di Marco Zacchera
Mercoledì ho votato la fiducia al governo sulla manovra economica, ma in un lungo intervento in aula ho sottolineato come - se in questo momento sarebbe da irresponsabili non capire la necessità di intervenire sui conti pubblici - dall’altra molti aspetti del decreto sono contraddittori e confusi, non colpiscono chi potrebbe contribuire anche di più e penalizzano pesantemente gli Enti Locali.
Qui di seguito alcune parti del mio intervento, ripreso direttamente dal resoconto parlamentare, nella parte centrata sui problemi delle amministrazioni comunali:
Signor Presidente (…) Chi parla è leale deputato di maggioranza e quindi non farà mancare il suo voto, ma non può nascondere un profondo sconcerto per come sia stato esteso questo decreto-legge, e non soltanto per l'entità delle cifre. Siamo tutti preoccupati, io lo sono anche come sindaco della mia città, per far quadrare le somme. Eppure mi è sembrato che in molti momenti l'estensione di questo decreto-legge non abbia tenuto conto della realtà: della realtà dei cittadini, delle imprese, dei piccoli comuni, soprattutto della logica. Nella mia provincia dei comuni distanti anche 80 chilometri tra loro dovevano diventare un comune solo, stando alla prima versione del decreto-legge, perché sono “contigui” ma lo solo perchè i diversi versanti di una stessa montagna si toccano in cima, ma è evidente che bisogna poi fare tutto il giro fino in fondo alle diverse valli per comunicare tra di loro: è veramente ridicola una dicitura di questo tipo. (…) Sarebbe stato molto meglio limitarsi, in un decreto-legge economico, a parlare di problemi economici e tutt'al più domandare alle regioni - come è stato fatto alla fine per le province - di risolvere e di intervenire sui problemi, nel senso di risparmiare dei fondi nell'organizzazione dei comuni impegnando le province o le nuove aree di area vasta - come le si vuole chiamare - ad essere loro a risolvere i problemi del territorio sulla base della logica. Questo, secondo me, è federalismo, decentramento e logica. Non si è voluto farlo. Ma soprattutto l'aspetto più negativo legato a questo decreto-legge è il discorso del Patto di stabilità, che è una cosa logica a livello nazionale. Tuttavia, quando i comuni non hanno i conti in regola secondo il Patto di stabilità soltanto perché è lo Stato che non paga quello che deve pagare ai comuni è ovvio che si avviti una situazione insostenibile. Il mio comune dovrebbe prendere quasi un milione di euro dal Ministero della giustizia per il funzionamento del tribunale di Verbania. I soldi non arrivano ed è chiaro che poi non si può spendere per pagare i contributi, arrivando all'assurdo che noi magari abbiamo, come abbiamo, oltre 4 milioni congelati su conti correnti del comune eppure non possiamo usare i soldi, né pagare contributi, né i fornitori mentre lo Stato ci deve dare oltre un milione di euro. Ma come può un comune logicamente - fosse in mano anche ai maghi - risolvere queste storture? La richiesta è, per cominciare, di stralciare dal Patto di stabilità i crediti - una volta accertati - che le altre amministrazioni pubbliche debbono ai comuni, altrimenti nessun comune potrà mai mantenere alla lunga il proprio Patto di stabilità.
Se ci blocchiamo nel pagamento dei fornitori al termine dei lavori fatti, è evidente che poi dopo si avvia una infausta catena tramite la quale le imprese non possono pagare i dipendenti, non possono partire con i lavori e avanti in questo senso. Quindi, apprezzando anche i miglioramenti che ci sono stati nel corso dell'iter del decreto, mi auguro e chiedo al Governo di approvare questo concetto: i comuni debbono essere lasciati liberi, per quanto possibile all'interno di un contesto generale, di poter operare al meglio. Non si pensi che le amministrazioni comunali siano in mano soltanto a dei corrotti o a delle persone che vogliono dissipare la ricchezza dello Stato. La gran parte dei comuni è in mano a persone serissime, che cercano disperatamente di far quadrare i conti e chiedono soltanto di potersi gestire con senso di responsabilità. Questo, secondo me, è il federalismo solidale di cui abbiamo bisogno nel nostro Paese.
IMPARIAMO DALLA SVIZZERA
Si parla tanto di crisi economica, di imprese che scappano ma dovremmo imparare dai nostri vicini svizzeri. Sono almeno 150 gli imprenditori italiani che in pochi anni si sono trasferiti in Ticino con azienda, famiglia, casa d’abitazione. Se in Italia non seguiremo questa strada non ci sarà più convenienza ad investire e soprattutto per le aree di confine la crisi è certa e andrà sempre peggio. Ma perché in Svizzera c’è il boom economico? La ricetta si chiama fiscalità agevolata, burocrazia snella, pubblica amministrazione efficiente, capacità di rispondere alle esigenze delle aziende ed elasticità del mercato del lavoro.
Non solo segreto bancario - Altro che conti cifrati, la Svizzera sta offrendo opportunità ben diverse rispetto alle prestazioni bancarie tradizionali e sa dare proprio tutte le cose da sempre invocate dagli imprenditori italiani. Da mesi, dopo gli scudi fiscali, è aumentata la pressione fiscale nei confronti degli imprenditori italiani, con le minacce di patrimoniale e un clima politico-sindacale sempre più incerto. Il governo sembra orientato ad accaparrarsi in qualche modo i beni scudati, e si intensificano i pignoramenti del fisco e la tentazione di fuga aumenta.
Copernico ha portato 219 imprese in Ticino - Dal 1997 al 2010, con il programma cantonale Copernico del Dipartimento delle finanze e dell’economia per l’incentivazione all'innovazione economica e le agevolazioni fiscali, sono state attirate/costituite in Ticino 219 nuove imprese. Di queste, la gran parte dall’Italia, una decina ciascuno da Germania e USA, 11 aziende si sono trasferite dal resto della Svizzera e 60 sono state create da residenti in Ticino. Non solo transfughi dall’Italia, dunque, ma il Cantone ‘tira’ sul mercato imprenditoriale.
Tassazione bassa ed efficienza - Ma quali sono i punti chiave alla base del processo di delocalizzazione in Svizzera di una società e di un’azienda? Tassazione bassa circa 20% (Italia 75%) ed efficienza ed equità fiscale. Il fisco è un interlocutore, non un nemico; Posizione strategica nel continente europeo – eccellenti, veloci e affidabili infrastrutture logistiche e dei trasporti e spedizioni . Efficienza e rapidità dell'autorità doganale; Incentivi statali, attenzione dello Stato alle esigenze degli investitori esteri, visione positiva e di sviluppo dell’imprenditorialità; Efficienza della pubblica amministrazione, burocrazia snella e chiara, funzionalità delle norme locali nella registrazione, gestione e degli adempimenti relativi ai soggetti giuridici. Stabilità politica, pace sociale, economia sana, finanze pubbliche ben gestite dal livello comunale a quello federale; Grande mobilità del lavoro, flessibilità nelle relazioni sindacali, tasso medio di assenteismo tra i più bassi d’Europa; Ottima qualità, rapidità ed efficienza delle organizzazioni bancarie, finanziare e professionali insediate nel territorio; Sicurezza, ordine pubblico, rapporti internazionali e strutture medico-sanitarie e scolastico-educative ai massimi livelli.
Una settimana per aprire un'azienda - Secondo Gianluca Marano, della società SAV Swiss Valor Advisory di Chiasso specializzata nella consulenza per le aziende estere che vogliono insediarsi in Ticino, i tempi per aprire un’attività sono molto ridotti. In Italia, per fare partire un' attività e uno stabilimento ci vogliono mesi, in Ticino basta una settimana. Per creare una società un'ora, per l' iscrizione ai registri del commercio bastano due giorni e quando i progetti si discutono, il giorno dopo è pronta la firma d’autorizzazione.
Costo del lavoro in Svizzera - La leva competitiva dell’aliquota fiscale non è tutto, ma il fatto è che la tassazione non supera 20% contro (tra imposte dirette ed indirette) il circa 76% in Italia. Una differenza che copre i maggiori costi e consente più utili e una maggiore competitività sui mercati. E non è vero che il costo del lavoro sia enorme, si fissa intorno al 20% in più che in Italia, ma se il salario netto è più alto che in Italia, i costi sociali sono enormemente più bassi. Attenzione, la Svizzera non è un paradiso né fiscale, né industriale, va detto che l’impresa deve avere un mercato di vendita a livello internazionale e deve essere strutturata per avviare un’attività all’estero.
Un'ora da Milano - Da non trascurare sono la posizione geografica del Ticino, che permette di raggiungere in meno di un'ora Milano e Malpensa, l'irradiazione verso il centro Europa e la locomotiva germanica, l'efficienza dei mezzi pubblici elvetici, oltre alle procedure doganali semplificate negli ultimi anni e il frontalierato che offre mano d'opera volonterosa e a condizioni reciprocamente vantaggiose.
Elettronica e chimica - Tra i nuovi insediamenti prevale il settore dell’elettronica, seguito da chimica-farmaceutica-medicale, servizi e logistica, abbigliamento, informatica, meccanica di precisione e metallurgia, materie plastiche, ma anche società di metalli preziosi e alimentari. Il Ticino è particolarmente attrattivo anche per aziende commerciali, finanziarie, di gestione, di consulenza, di marketing, di engineering e per gli headquarters di aziende internazionali.
VCO: SERVE CORRESPONSABILITA’
Sembrerebbe accantonata l’ipotesi che la provincia del VCO sparisca a ritmo di decreto, mentre a breve si procederà ad un riordino complessivo e nazionale delle province che gran parte dell’opinione pubblica vorrebbe sopprimere.
Insisto nel credere che sia indispensabile – soprattutto in periferia - un Ente intermedio di coordinamento e di raccordo tra comuni e regione, ma rendendoci conto che l'amministrazione pubblica costa troppo ed alcuni tagli sono necessari.
La questione della provincia potrebbe risolversi applicando un metodo un pò diverso dal solito: sia la stessa amministrazione provinciale del VCO a proporre al proprio territorio ed alla regione un “suo” nuovo modo di organizzarsi proponendo tutta una serie di accorpamenti comunali – o unioni di comuni, mantenendo l'entità formale delle diverse amministrazioni, ma accentrandone di fatto tutti i servizi – creando una struttura amministrativa intermedia che regga nell'ottica del risparmio e tagli il superfluo.
Un esempio sono oggi le comunità montane: se fossero state mantenute come in origine (erano una decina) ora sarebbero lo schema più logico per diventare singoli “comuni di valle” ma rimaste in tre non se ne coglie una grande utilità.
Conti alla mano i 77 comuni della provincia potrebbero ridursi a meno di trenta pur accorpando al VCO anche la zona del Motttarone dalla attuale provincia di Novara e dando a ciascun nuovo comune una sua logica territoriale, funzionale e di accesso, mantenendo i comuni più grandi, ma accorpandone anche alcuni ben al di sopra dei 1000 abitanti.
Proposte che ciascuno ha la possibilità di fare e che l'Ente Provincia ha il dovere di esaminare auto-proponendo un “modello VCO” che abbia un senso e che in regione possa puntare a chiedere una effettiva e progressiva autonomia.
Se la competenza sulle province – compreso il determinarne numero e confini – spetterà alle regioni cerchiamo di arrivare preparati al confronto identificando il VCO proprio come un territorio diverso ma omogeneo, unico modo per contare qualcosa.
Se invece si vuole andare avanti a polemizzare tra Ossola e Verbano-Cusio ciascuno si prenda la propria quota di responsabilità polverizzando una realtà territoriale che non solo per le specificità montane ma anche per l'essere zona decentrata dal capoluogo regionale può sperare di avere una propria autonomia che la giustifichi.
FOCUS GROUP
Nel mese di giugno ho pubblicato su IL PUNTO e con inserzioni sulla stampa e media locali la proposta di creare un gruppo di giovani della zona che – indipendentemente dai partiti – abbiano delle idee per il futuro di Verbania e del VCO. Un bel gruppo ha risposto e nei prossimi giorni, dopo diversi contatti personali, si terrà una prima riunione operativa. Interessa partecipare? Basta contattarmi a marco.zacchera@libero.it per avere ogni dettaglio
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