PREMESSA
Il presente contributo è frutto di una ricerca accurata svolta durante il tirocinio della sottoscritta
presso l’Ambasciata d’Italia a Berlino, nell’ambito del progetto promosso dal Ministero Affari
Esteri e la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane.
Il tirocinio ha avuto una durata di tre
mesi, durante i quali ho avuto modo di venire a conoscenza delle problematiche relative ai
connazionali all’estero specialmente nel campo dell’istruzione, collaborando con la sezione Affari
Sociali e l’Ufficio Scuole nonché prendendo parte ad un’interessante conferenza dal titolo “Italiener
zwischen Inklusion und Exklusion”, tenuta in Ambasciata dalla Prof.ssa Pichler, docente e
ricercatrice presso la Humboldt Universität di Berlino.
Nel leggere il risultato di studi condotti sul successo, o meglio, insuccesso scolastico –dal momento
che i gli esiti sono tutto fuorché positivi, considerando il fatto che la situazione è rimasta perlopiù
immutata nell’arco di circa 20 anni- degli italiani in Germania, ho iniziato ad interessarmi
all’argomento ponendomi domande sul perché gli italiani abbiano un basso rendimento scolastico:
non conoscono la lingua tedesca? Non si sono integrati nel Paese? Cosa può influenzare
positivamente il futuro professionale e scolastico dei figli di migranti italiani? Il bilinguismo
potrebbe risultare un fattore positivo per migliorare l’integrazione e la buona riuscita scolastica.
Non intendo con il mio breve contributo dare una risposta esemplare, bensì porre a conoscenza
l’esito di alcuni studi effettuati nel campo del bilinguismo, o meglio di un tipo di bilinguismo:
quello prescolare.
1. COS’È IL BILINGUISMO?
Parlando di ricerca sul bilinguismo, i primi contributi si hanno con il volume di Bloomfield (1933) e
Weinreich (1953). Di seguito prenderò come riferimento proprio la definizione data da Bloomfield
(1933:55-56, trad.libera) in merito al bilinguismo, che lo definisce come il “perfetto apprendimento
della lingua straniera senza una perdita della lingua nativa, che risulta quindi in un bilinguismo, una
padronanza e competenza di due lingue simile a quella di un parlante nativo”.
Il tema del bilinguismo è più che mai attuale, tanto che ci sono dibattiti piuttosto accesi a livello
europeo sugli investimenti da destinare a tale campo dell’educazione. E’ altresì vero che l’interesse
in merito non è affatto recente, ma anzi, è iniziato più di trent’ anni fa per rispondere ad un’esigenza
pratica, ossia l’istruzione dei figli di immigrati stabilmente residenti un Paese diverso da quello
d’origine.
Investire nell’educazione prescolare e della prima infanzia presenta grossi vantaggi in termine di
rendimento scolastico successivo: è più efficiente, anche e soprattutto a livello economico,
effettuare investimenti prima che non correggere eventuali lacune e mancanze dopo. E’ stato
provato come l’educazione negli anni prima della scuola sia fondamentale per il successo scolastico
e per una maggiore integrazione anche a livello sociale. Ma il perché tale premessa sia collegata al
bilinguismo prescolare è presto detto: la prima infanzia rappresenta il terreno più fertile per
l’apprendimento, la capacità del bambino di apprendere e di sviluppare il linguaggio è ai massimi
livelli anche se, come verrà indicato nello specifico successivamente, bisognerebbe distinguere le
diverse fasce d’età per l’apprendimento, cosa che rende possibile anche determinare quale
approccio educativo adottare.
1
Prima di proseguire con il processo di apprendimento che sta alla base del bilinguismo, vorrei
riprendere la definizione di quest’ultimo che è stata appena data secondo la visione di Bloomfield,
molto generale, ed arricchirla dei contributi che diversi studiosi hanno dato alla ricerca in questo
campo: ad esempio, potremmo definire il bilinguismo1 come la capacità di un individuo di usare
due lingue senza difficoltà, con accento molto simile ad un madrelingua di entrambe le. Ci sono poi
definizioni che accentuano ulteriormente alcune caratteristiche, come il definire bilingue una
persona che è cresciuta in un ambiente a contatto simultaneamente con entrambe le lingue, e che
nell’uso di esse non effettua una traduzione dall’una all’altra ma dietro l’esprimersi verbalmente il
suo pensiero è collegato alle due lingue.(www.infanzia.com/psicologia.php?id=3-
5&val=apprendere%20una%20seconda%20lingua)
Infatti, tale tipo di insegnamento non ha solo fini meramente “pratici” (ossia l’apprendimento di una
lingua per il lavoro) ma anche l’inserimento nell’ambito delle direttive stabilite dal Quadro Comune
Europeo che principalmente sostengono il plurilinguismo. Secondo Vedovelli (2009: 33):
“il ricco patrimonio delle diverse lingue e culture in Europa è una risorsa comune, un valore che
va protetto e sviluppato ed è necessario il più grande sforzo educativo per convertire la diversità
da una barriera alla comunicazione in una fonte di muto arricchimento e comprensione”.
Il bilinguismo (ma non solo, l’apprendimento delle lingue in genere) favorisce l’inserimento dei
figli di migranti e fornisce anche ai nativi la possibilità di conoscere nuove culture per poter andare
al di là delle differenze date dalla provenienza e dare maggiori chance anche ad un futuro
professionale di successo, volto alla mobilità europea ed extraeuropea. Una politica linguistica che
mira a superare le differenze, a migliorare la reciproca comprensione e tolleranza dell’altro; ma per
sostenere ed incentivare il richiamo del Quadro Europeo per le Lingue al plurilinguismo e
multilinguismo, è necessario che tutti gli Stati si impegnino a finanziare ed investire in questo tipo
di insegnamento, ad ogni livello del percorso educativo (con maggior attenzione a quello
prescolare).
Da qui si può immaginare quanto sia importante l’integrazione fra i popoli e, nel nostro caso, dei
migranti italiani in Germania, affinché i propri figli possano mantenere e consolidare la
madrelingua e la cultura d’origine, garantendo tuttavia un inserimento adeguato nella società
tedesca a tutti i livelli: e quale metodo migliore se non quello di imparare contemporaneamente le
due lingue? Oltre che per le famiglie in cui è “necessario” imparare le due lingue perché miste
(padre/madre di origine italiana e l’altro partner di lingua tedesca, o ancora di altro Paese ma
residente in Germania), si hanno i casi composti dalle famiglie tedesche che desiderano far crescere
il proprio figlio con orizzonti allargati e con un’apertura verso l’altro che abbia un fondamento che
sia ben radicato. Questo fa capire anche come il panorama sia piuttosto disomogeneo e variegato, e
come ogni bambino abbiamo un proprio background che si riverserà inevitabilmente sul piano
psicologico, affettivo motivazionale ed identitario. Si riconosce quindi l’apprendente come persona
autonoma con una propria cultura ed identità senza per questo porre etichette che possano inficiarne
le relazioni interculturali. (Ines 2008: 35) Inoltre, l’apprendere un’altra lingua, anche da parte della
popolazione nativa, (in questo caso, tedeschi che imparano l’italiano) porta l’acquisizione di una
competenza interculturale che getta le basi per un’Europa unita.
1 Secondo quanto affermato da Peter Graf (2011:24), sono state date più di 20 definizioni per il concetto di
bilinguismo, ma la più conosciuta, secondo l’autore, è quella di Uriel Weinreich, che nel 1953 definì il bilinguismo
come “l’uso alternativo di due lingue” (Zweisprachigkeit als den abwechselnden Gebrauch zweier Sprachen, 1953: 1).
Peter Graf inoltre, pone l’accento sul fatto che non sia necessario avere un’eguale padronanza delle due lingue in tutte e
quattro le abilità, come invece altri studiosi hanno evidenziato, ma riporta la definizione unanimemente riconosciuta di
Barry McLaughlin secondo E.Haugen: il bilinguismo consiste nella facoltà di formulare in una seconda lingua frasi
complete e di senso compiuto). Barry McLaughlin: Second Language Acquisition in Childhoood. Vol.1: PreSCHOOL
Children,2nd ed., Hillsdale/NJ 1984, pag. 8.
2
I risultati delle indagini PISA condotte dall’OCSE2 hanno messo in luce i problemi che riguardano
gli alunni con background migratorio e di come questi abbiano difficoltà nel portare a termine un
percorso scolastico di successo. L’Italia e la Germania, che disattendono le aspettative conquistando
posizioni non proprio di vantaggio rispetto agli altri Paesi analizzati (anche se bisogna dire che la
Germania può vantare comunque una posizione migliore di quella italiana), hanno in comune la
problematica dell’avviamento all’educazione prescolare, fondamentale per l’educazione e per la
preparazione alla scuola. Agire sulla competenza linguistica già nella scuola per l’infanzia, nell’età
in cui si formano nel bambino le strutture linguistiche, permette di prevenire i problemi di
alfabetizzazione che possono verificarsi successivamente nella scuola primaria. Le istituzioni
prescolastiche hanno quindi man mano acquistato quell’importanza tale da esser considerate un
vero luogo di formazione, uscendo dal ruolo “secondario” in cui sono state relegate per anni.
Ritornando all’educazione bilingue, si deve porre attenzione sul fatto che ci sia ancora molto da fare
per sfatare i falsi miti (positivi e negativi) che le girano intorno e sensibilizzare non solo i genitori,
ma gli insegnanti e le istituzioni pubbliche sotto questo punto di vista. E’ un dato di fatto che in
alcuni Paesi vengano addirittura a mancare figure in grado di portare avanti un certo percorso
educativo di tipo bilingue: non è solo necessario che gli insegnanti siano della rispettiva
madrelingua (il minimo, secondo il mio parere,) ma anche che posseggano le conoscenze e gli
strumenti specifici atti a favorire il miglior apprendimento possibile da parte dei discenti.
Contrariamente a quanto si pensi, l’educazione bilingue, e rimarco educazione visto che rappresenta
la sfida principale, quindi non solo insegnamento delle lingue, non dovrebbe iniziare alle
elementari, (anche se si deve far notare come il percorso porti comunque i sui risultati), ma già alla
nascita! Detto in questi termini, sembra essere un po’ categorico; in realtà, si sfruttano così le
capacità cognitive innate dei bambini, e non farlo sarebbe una grave perdita e un’ottima chance non
sfruttata. Iniziare dall’infanzia permetterà ai bambini di crescere con una doppia visione del mondo,
senza richieder loro alcuno sforzo, se non quello iniziale e comprensibile nel trovarsi davanti a due
modi diversi di dire la stessa cosa imparando a distinguere le due lingue.
Per educazione bilingue quindi, non si intende qui parlare dell’ introduzione di una lingua straniera,
cosa che avviene peraltro da tempo nella scuola d’infanzia, dove si predilige generalmente come
seconda lingua l’inglese per i motivi che tutti noi sappiamo, ma che così porta un po’ ad un
appiattimento del concetto del plurilinguismo ribadito più volte dall’Unione Europea, e della
cosiddetta incentivazione anche delle lingue minori. Essendo un diritto dell’uomo il mantenere la
propria cultura e la propria lingua, anche le altre lingue dovrebbero essere proposte ed accolte.
Tutta questa premessa porta ad una domanda più che ovvia: ma perché un bambino tedesco, che
cresce in Germania, con genitori nativi tedeschi, che parlano solo la lingua materna in famiglia,
dovrebbe interessarsi ad imparare una seconda lingua(in questo contesto, l’italiano)? A tale
domanda cercherò, più che trovare una risposta precisa, di darne giustificazione.
Nel parlare di bilinguismo bisogna far notare come sia difficile evidenziarne i “confini” (quindi
tracciarne una definizione per così dire univoca), anche se molti studiosi ne hanno fatto oggetto di
classificazione.
Riprendendo nuovamente quale sia la definizione data di bilinguismo, ossia la capacità di un
individuo di esprimersi correttamente in due lingue, si possono stabilire alcuni parametri che
aiutano a delinearne una sorta di classificazione.
Piva (2007:4-5) fa riferimento nella sua ricerca agli studiosi Valdés e Figueroa (1994), citati da
Baker (2001) che fanno da punto di riferimento per gli altri studi condotti in questo campo tenendo
presente:
1. Età di apprendimento (simultaneo/successivo/ritardato)
2. Capacità d’uso (iniziale/ricettivo/produttivo)
3. Equilibrio tra le lingue
2 I risultati delle indagini PISA relative all’anno 2009 possono essere consultate nel sito www.oecd.org/edu/pisa/2009
3
4. Sviluppo (ascendente/recessivo)
5. Contesto di acquisizione e di uso
6. Bilinguismo per scelta (e l e c t i v e) VS bilinguismo determinato dalle circostanze
(circumstantial).(citare tutto Pavia)
Di seguito invece, la proposta di Hamers (2005) per cui il bilinguismo può essere differenziato:
rispetto alla competenza nelle due lingue (bilanciato VS dominante)
rispetto all’organizzazione cognitiva (composto VS coordinato)
età d’acquisizione (simultaneo VS consecutivo [prima infanzia vs età adulta])
± presenza della comunità dei parlanti di L2 (endogeno VS esogeno)
status delle lingue in contatto (additivo VS sottrattivo)
identità culturale (biculturale, monoculturale, deculturato)
Quindi si evince come si possano distinguere i diversi tipi di bilinguismo3, ossia due codici
posseduti dai parlanti che possono essere intercambiabili in ogni ambito d’uso
(www.orioles.it/materiali/pn/bilinguismo.pdf): compatto, coordinato, subordinato, precoce, tardivo ,
bilanciato dominante e così via, a seconda se questo venga visto in quanto stato o processo, come fa
notare Nardon Schmid (2008: 44) riprendendo Titone (1995), che a sua volta distingue fra
bilinguismo, inteso come la capacità dell’individuo di usare due lingue per comunicare, e
bilingualità, che è lo stato in cui si trova l’individuo, ossia l’ accesso a uno o più codici linguistici
per comunicare (Titone in Nardon Schmid Ibidem).
Ci concentreremo, in questa ricerca, essenzialmente sul bilinguismo compatto (ossia che avviene
anche in famiglia) coordinato (per i bimbi che hanno genitori solo tedeschi o solo italiani, quindi la
lingua viene introdotta nella scuola d’infanzia) e precoce (che avviene nell’età che va da 0-3 anni
fino ad arrivare ai 5), composito (le due lingue sono imparate contemporaneamente sin dai primi
anni di vita), e simultaneo4 (cioè dove l’acquisizione della lingua avviene nello stesso momento).
2. MITI E PREGIUDIZI SUL BILINGUISMO
Da cosa si differenzia un bilingue da un bambino che sa, oltre la propria madrelingua, una lingua
straniera? Il bambino bilingue, per esser definito tale, deve poter pensare nelle due lingue, saperle
usare indistintamente con un grado di competenza e pronuncia accettabili, conoscere entrambe le
culture di riferimento, di essere in grado di leggere e scrivere in entrambe le lingue (Nardon
Schmid, 2008: 45). Il bilinguismo deve essere considerato una ricchezza, e non un modo di
introdurre una lingua seconda per poter “soppiantare” la madre lingua in termini di padronanza.
Proprio facendo seguito a tale affermazioni, sono molte le critiche che si muovono a sfavore del
bilinguismo nell’età dell’infanzia. Le ricerche effettuate in questo ambito e i dati tratti da esse non
hanno evidenziato che questo sia un fattore negativo per lo sviluppo (Bialystok (2005), in Leseman
2009: 17) ma al contrario: da numerosi test effettuati è stato associato ad uno sviluppo cognitivo
maggiore e precoce rispetto ai coetanei monolingue, nonché ad una particolare attenzione e
concentrazione, soprattutto nel controllo del linguaggio (derivante da un maggior esercizio
determinato dall’uso delle due diverse lingue), specialmente se si tratta di un bilinguismo
3 Nel presente contributo ci si riferirà sempre al bilinguismo individuale e non comunitario.
4 In base al tempo quindi, si distingue il bilinguismo simultaneo dal successivo, in cui la lingua è introdotta più tardi,
quando la L1 è già ben consolidata. A seconda della competenza inoltre, si individuerà un bilinguismo bilanciato (dove
il parlante si esprime indistintamente nelle due lingue con egual prestazione senza usare l’una a scapito dell’altra),
dominante (una lingua è più e meglio parlata dell’altra), aggiuntivo se il parlante aggiunge alla sua madrelingua una
seconda lingua senza perdere la padronanza e la familiarità con la prima, e sottrattivo, tipo di tanti figli di migranti, in
cui la seconda lingua pian piano prenderà vantaggio sulla propria madrelingua perché più parlata nel contesto sociale in
cui il parlante si trova.
4
equilibrato, in cui la padronanza delle due lingue è identica e appropriata alla loro età (Leseman,
ibidem). Ne consegue che l’esposizione alle due lingue, in termini qualitativi e quantitativi, deve
essere pressoché la stessa.
Tale sviluppo bilingue può avvenire simultaneamente (nel caso i genitori parlino due lingue
diverse) o successivamente, nel caso il bambino impari prima la lingua materna, usata a casa dai
genitori, e in seguito una seconda lingua, introdotta nella scuola d’infanzia e/o nella scuola
primaria, che diventa la lingua dominante ma che allo stesso tempo, in molti casi non è ben
conosciuta dai genitori, e questo riguarda la maggior parte dei figli di migranti presenti in Europa.
Se il bilinguismo può essere considerato un fattore positivo, da dove vengono allora le critiche? Si
muovono critiche da parte di coloro che non conoscono bene l’ambito, dagli stessi attori sociali che
si trovano a lavorare sui bambini e che costatano come il bilinguismo successivo porti a pesanti
ritardi nello sviluppo della L2 e in quello cognitivo in generale, con conseguenti scarsi risultati a
livello scolastico in futuro (ed è il caso della maggioranza dei figli di italiani presenti in Germania).
Bisogna altresì precisare come però questo ritardo nello sviluppo dipenda in gran parte dall’ambito
familiare in cui si viene a trovare il bambino, e, soprattutto, dall’età in cui viene introdotta la
seconda lingua. Da alcuni studi è emerso che un’educazione bilingue nelle scuole d’infanzia abbatta
questo rischio, soprattutto perché introduce alla lettura nella L2. Nei figli dei migranti, come si è già
sottolineato, il passaggio fra L1 e L2 non avviene spesso in maniera positiva, ma si crea uno
squilibro fra le due lingue in termini di tempo dedicato all’apprendimento e in relazione alle risorse
cognitive di cui il bambino dispone per l’acquisizione di tali lingue.(Byalistock 2005; Pearson &
Fernandèz, 1994 in Leseman 2009: 22)
L’esercizio di lettura già nella scuola d’infanzia permette di ridurre questi rischi; il bambino infatti,
può ottenere significativi vantaggi nella comprensione e assimilazione delle parole, ciò si rivelerà
molto utile nei primi anni della scuola primaria, nonché avrà la possibilità di sviluppare (o
correggere) una pronuncia da madrelingua, dal momento che a quell’età il bambino non dispone
ancora di quel forte automatismo dato dalla lingua madre come potrebbe avvenire in un adulto. A
due anni infatti, si è già compiuta l’acquisizione delle strutture dei suoni, del ritmo della prima
lingua e su questo si costruisce l’apprendimento di ogni ulteriore lingua. Nel piccolo l’apparato
fonatorio è ancora flessibile, ed è in grado di riprodurre qualsiasi suono. Come afferma ancora Graf
(2011: 36), i bambini nascono tutti “native speaker”, in ogni lingua, la imparano senza accento. E’
qui che risiede uno dei vantaggi principali dell’apprendimento precoce delle lingue; ciononostante,
affinché questo avvenga, i bambini devono venir a contatto con la lingua che abbia un’intonazione
autentica, per evitare che imparino i suoni in maniera erronea che potrebbero inficiare la produzione
futura della lingua stessa.
Il pregiudizio che il bilinguismo porterebbe ritardi nello sviluppo cognitivo è strettamente legato
all’età in cui esso dovrebbe avvenire; è infatti raccomandabile, conformemente a quanto già sopra
affermato, che questo avvenga dalla nascita o almeno nella prima infanzia, prima che il bambino
vada a scuola. Molti genitori, (e non solo, anche alcuni pediatri ed insegnanti di vecchio stampo)
hanno paura che il bambino possa imparare una lingua seconda a scapito della prima con un ritardo
nello sviluppo cognitivo e linguistico del bambino, perché si ritiene (erroneamente) che questo non
sia in grado di assimilare tutti vocaboli e le strutture grammaticali in due o più lingue. Per quanto
riguarda la prima parte, avviene invece esattamente il contrario: il bambino bilingue presenta uno
sviluppo cognitivo più “elastico”, rapido in quell’età rispetto ad un coetaneo monolingue (anche se
c’è da dire che tale differenza, nell’età scolare, si azzera), orizzonti mentali più aperti e uno spiccato
senso logico. Per ciò che concerne il ritardo nello sviluppo linguistico, esso è quasi considerato
“normale” non tanto per le difficoltà che incontra il bambino nell’imparare le due lingue (che come
dimostrano determinate ricerche scientifiche è perfettamente in grado di riconoscerne la differenza
già nei primi mesi di vita5) ma nel trovarsi di fronte due codici linguistici per descrivere lo stesso
5 Si rimanda qui alla ricerca pubblicata su Science di Mehler.
5
concetto e nel confrontarsi con un mondo che è in prevalenza monolingue. Contrariamente a quanto
si riteneva fino a pochi anni fa, non è vero che i bambini avessero un unico sistema linguistico
comprendente due lessici e due grammatiche, e che iniziassero a separare le due lingue all’età di 2-3
anni, ma che invece la separazione della lingua nasce nel momento in cui il bimbo inizia a parlare.
Sono inoltre in corso altre ricerche volte a dimostrare il contatto fra le due lingue, che si
influenzerebbero l’una con l’altra nell’acquisizione di determinate strutture grammaticali.
Le nuove scoperte nel campo neurologico confermano l’importanza della prima infanzia.
2.1 LA RICERCA SCIENTIFICA
Secondo gli esiti di una ricerca (la ricerca è apparsa nella rivista specializzata Science) condotta dal
dottor Jacques Mehler, direttore del laboratorio Linguaggio, cognizione e sviluppo della SISSA
(Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati), insieme ad Agnes Kovacs della Scuola
Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste e poi pubblicata sulla rivista PNAS , i bambini
che crescono con due lingue e che si trovano a contatto con esse sin dalla nascita sviluppano un
maggior controllo e prontezza nella pianificazione delle azioni, nella comunicazione non verbale e
nello svolgimento delle attività, ossia funzioni esecutive più accentuate. Questo perché un bambino
bilingue è in qualche modo “allenato” nella distinzione delle diverse lingue ed è in grado, come già
detto, di riconoscerne la differenza sin da subito. Come afferma il dottor Mehler, è questione quindi
di allenamento, “una competenza che in qualche modo i bilingue acquisiscono passivamente”, e non
che questi siano di fatto più intelligenti, ma che ne consegua solo una particolare facilità
nell’acquisizione di altre lingue e delle loro strutture, favorendo il ragionamento e l’apprendimento
in generale (Rubeo 2010). Non bisogna, inoltre, pensare che il bambino bilingue debba “per forza”
essere più intelligente dei coetanei monolingue, perché il bilinguismo rappresenta solo
un’opportunità, come ce ne sono tante altre (es. gli scacchi), per sviluppare le proprie capacità
cognitive e abilità logiche.
La ricerca sul bilinguismo si concentra ampiamente sul contatto o meno fra le due lingue, sul
fenomeno del code mixing, sul fatto se il bambino distingua o meno le due lingue già appena nato,
ed i test effettuati in tal senso confermano come il neonato sia già in grado, in famiglie miste, di
capire che la lingua parlata dal padre e quella della madre sono differenti, e il rispetto del prinicipio
“one language, one person” (una lingua, una persona) è fondamentale in tal senso, per limitare
anche il mischiare delle due lingue o errori nel code switching (www.viaggio-ingermania.
de/bilinguismo.html).
Mehler, nel suo articolo apparso su Science (http://news.sciencemag.org/sciencenow/2011/02/aninfants-
refined-tongue.html?ref=hp), precisa come un bambino, sentendo parlare due lingue fin
dalla nascita, non apprende solo le regole linguistiche, ma una visione molto più ampia nel
differenziare le due lingue, una capacità che i monolingui perdono. La ricerca condotta, molto
importante nel campo, completa temi discussi da altri studiosi (alcuni presenti anche alla conferenza
di presentazione dell’articolo) come quelli della psicologa Ellen Bialystok della York University di
Toronto, Canada, che afferma come i bambini bilingue acquistino abilità cognitive più forti e utili
nell’analizzare pensieri complessi, nell’organizzazione delle attività e nel controllo dell’attenzione,
e di come tutto questo contribuisca addirittura a ritardare la demenza senile in età adulta.Il team
della SISSA ha posto sotto esame bambini di 12 mesi, metà bilingui e l’altra monolingui,
proponendo loro test in cui fosse possibile controllare le funzioni cognitive per verificare se i
bilingui fossero effettivamente più abili ed accurati nell’acquisire e riconoscere le strutture del
linguaggio. Il risultato ha confermato quanto detto finora, e cioè che effettivamente i bilingui
presentano tali capacità, e anche se devono imparare una quantità doppia di parole rispetto ad un
monolingue (perché dovrà imparare lo stesso quantitativo di vocaboli per entrambe le lingue),
questo non comporta ritardi nello sviluppo del linguaggio, dal momento che l’inizio della
produzione orale avviene generalmente negli stessi tempi dei monolingui.
6
Dal momento che il bambino quindi è in grado di riconoscere le lingue sin dalla nascita, risulta di
fondamentale importanza per il perpetrarsi dei vantaggi che il bilinguismo può portare che questo
apprendimento linguistico sia associato all’affettività e a sentimenti positivi nei confronti non solo
delle lingue ma anche delle loro culture di riferimento.
D’altro canto, per ritornare agli effetti negativi, un articolo di Bialystok, Cognitive and Linguistic
Processing in Bilingual Mind6 sostiene come il bilinguismo, tra i (seppur limitati) svantaggi,
presenta un’apparente padronanza equivalente nelle due lingue, mentre dei test su bambini bilingui
hanno smentito tale affermazione, constatando come tale processo risulti difficile e i bambini
posseggano un vocabolario limitato, almeno in una delle due lingue e addirittura spesso nella
dominante, rispetto ai loro coetanei monolingui. Entrano poi in gioco le paure di molti insegnanti e
genitori, ossia della mescolanze delle due lingue. Tale fenomeno risulta perfettamente normale nel
processo di apprendimento linguistico: il cosiddetto code mixing (il mischiare le due lingue con
enunciati interi o parole) o un erroneo code switching (il passaggio tra una lingua e l’altra,
tipico dei bilingui).
La mescolanza linguistica e la commutazione di codice scompaiono solitamente intorno ai 4-5 anni,
quando il bambino ha acquistato più autonomia ed è in grado di esprimersi piuttosto correttamente
in entrambe le lingue, con un vocabolario più ampio e strutture grammaticali più corrette, e non
mescolerà più nell’intento di farsi capire nella maniera più chiara possibile.
Il bambino può mischiare le due lingue, la maggior parte delle volte volontariamente, a seconda
della facilità di pronuncia per esempio, e dell’ambiente in cui si trova. Il cervello di un bilingue si
sviluppa diversamente da quello di un monolingue: è erroneo pensare che il bilingue sia come due
monolingui. Infatti, anche se un bilinguismo tardivo, ossia introdotto dopo la pubertà, può portare a
dei risultati soddisfacenti e vicini a quelli di un madrelingua, il processo mentale che sta alla base
del ragionamento di un bilingue è molto diverso: il bilingue non incontra nessuna difficoltà nella
gestione della L1 e L2, che son in compresenza, ma che sa distinguere bene nell’uso così come
risulta naturale la riproduzione della pronuncia accento da madrelingua, che raramente avviene
all’interno di un bilinguismo tardivo.
Inoltre, sempre considerando le critiche relative al bilinguismo, esso non deve essere considerato
come un’imposizione al bambino, ma il tutto dovrebbe avvenire in modo naturale e spontaneo,
incentivando l’apprendimento delle due lingue con ciò che per il bambino rappresenta la normalità,
ossia attività ludiche e stimolandone la curiosità, l’intraprendere una nuova esperienza. Tutto quello
che rappresenta un divertimento per il bambino, quello che è associato all’idea del gioco, a
sentimenti positivi, nei confronti dei genitori (non necessariamente parlanti lingue diverse) e del
mondo esterno rappresentano uno stimolo all’apprendimento. Ed ecco sfatato un altro mito per cui
l’inserimento delle due lingue comporterebbe una rinuncia al gioco del bambino poiché “ruba del
tempo”. Ciononostante, il bambino, come già detto, non deve essere forzato però a parlare le due
lingue, ma deve essere lui a decidere se e quando parlarle, e il tutto avviene con un programma
misurato sui suoi bisogni, primo fra tutti quindi il gioco. Proprio perché avviene in tenera età, non si
può pensare all’apprendimento “classico”, dove la lingua viene studiata ed imparata nelle sue
strutture grammaticali e lessicali, ma il procedimento avviene spontaneamente tramite le attività
ludiche, canzoni, recite e racconti, con un inizio passivo, in cui il bambino impara senza una
corrispondente produzione vera e propria, e poi man mano, con l’aiuto dei genitori e degli
educatori, inizia a distinguere e a rispondere agli stimoli proposti nelle diverse lingue. Un metodo
efficace è l’uso del “una lingua, una persona” (one language one person, strategia linguistica),
applicato in molte scuole d’infanzia e nelle famiglie miste (padre e madre che non parlano la stessa
lingua). I bambini imparano di conseguenza a rispondere nella lingua che la situazione in quella
circostanza richiede. La motivazione nel parlare la lingua risiede infatti nell’esperienza personale
del muoversi all’interno di un determinato contesto, nel voler partecipare al discorso e non
6 Il contributo originale si trova al sito www.psychologicalscience.org/journals/cd/19_1_inpress/Bialystok_final.pdf
e viene citato anche nel sito http://bilinguepergioco.com/2010/05/22/se-i-bambini-bilingui-sono-piu-creativi-perchegli-
adulti-bilingui-non-sono-piu-creativi/
7
nell’imparare regole grammaticali. E’ importante quindi che le due lingue vengano poi valorizzate
allo stesso modo, dal momento che il bambino ha una particolare sensibilità nel percepire se la
lingua parlata dalla persona che entra con loro in contatto è considerata importante o no, e potrebbe
conseguirne una valutazione positiva o negativa di una lingua nei confronti dell’altra (ad esempio,
se una è utilizzata maggiormente per i rimproveri e l’altra per sottolineare i successi), cosa da
evitare per non pregiudicarne l’apprendimento. (Doyé 2011: 54)
Sempre per quanto riguarda la famiglia, è di importanza fondamentale che questa capisca il valore
dell’essere bilingue e non faccia sentire tale compito come un “peso” che grava sul bambino.
Un’adeguata informazione in merito, anche per quanto riguarda le strutture che offrono tale
tipologia di insegnamento, può essere un buon passo avanti per l’acquisizione della consapevolezza
da parte dei genitori di costituire il punto centrale per l’educazione bilingue. La loro stretta
collaborazione con le strutture educative (scuole d’infanzia, scuole primarie ecc) facilita il compito
sia degli educatori che dei bambini, che vedono la situazione in cui si trovano ad apprendere in un
certo modo come la “quotidianità” riflessa del loro ambiente familiare, come il caso dell’ “Asilo
Italiano” che verrà proposto in seguito e preso in esame.
Il bambino infatti impara a comunicare per necessità, per muoversi e conoscere il mondo che lo
circonda, per interagire con chi si trova di fronte. Per questo è necessario che famiglie ed educatori
facciano in modo che il bambino venga motivato e stimolato nell’uso delle 2 lingue affinché
diventino poi una necessità (ad es., portandolo nel Paese proprio della lingua, dove sarà costretto a
parlarla per comunicare con gli altri). Nelle famiglie monolingue, in cui la L2 non è quella nativa,
raggiungere l’obbiettivo dell’apprendimento della cultura relativa ad essa da parte del bambino
rappresenta una bella sfida per i genitori; è opportuno mantenere ben viva la L1, ossia la lingua
materna, per permettere di basare la L2 su di essa.
Bisogna poi tener conto del fatto che il bambino non diventa automaticamente bilingue se i due
genitori parlano due lingue diverse, ma bisogna bilanciare l’esposizione ad entrambe le lingue per
far sì che il bimbo le acquisisca correttamente, ed ecco quindi sfatato un altro pregiudizio (questa
volta positivo) sul bilinguismo. E’ molto difficile infatti raggiungere un equilibrio tra la L1 e L2.
Un altro mito positivo (Balboni 2006: 122) è quello per cui chi impara le lingue, specie sin da
piccolo, risulta automaticamente aperto verso il prossimo. Questo è vero, ma oltre alla lingua, per
far sì che ciò avvenga, occorre trasmettere i valori ancorati alla cultura di riferimento: insegnare la
lingua senza la civiltà in cui si sviluppa non avrebbe alcun senso.
3. IL CASO CONCRETO: L’ “ASILO ITALIANO” DI BERLINO
Fino ad ora si è parlato dei vantaggi e degli eventuali “svantaggi” del bilinguismo, del perché
l’argomento sia così importante attualmente e di come reagiscono i bambini a questo tipo di
educazione.
Per avere ancor di più la conferma che il programma di educazione al bilinguismo produca buoni
risultati anche per l’inserimento successivo nella scuola primaria, ho deciso di visitare
personalmente una scuola d’infanzia (o meglio, asilo7, perché questa è la denominazione che viene
adottata in Germania) a Berlino, sede del tirocinio svolto.
Berlino presenta una realtà che è attualmente oggetto di studio, con una richiesta crescente di asili e
scuole bilingui da parte di migranti italiani.
La situazione degli italiani a Berlino, senza approfondire il tema, è piuttosto diversa dalla figura del
“Gastarbeiter” del passato e anche dei migranti in cerca di fortuna che hanno caratterizzato gli anni
precedenti: la maggioranza è rappresentata da persone con un livello di istruzione piuttosto elevato,
da studenti, giovani famiglie di professionisti, ricercatori e studiosi, ingegneri, architetti, avvocati o
artisti, giornalisti e scrittori, solo per citarne alcuni. Essendo genitori con una maggior
7 Nel presente contributo non si userà la denominazione attuale di “scuola d’infanzia” per le strutture prescolari in
Germania ma verrà utilizzata quella di asilo perché più vicina alla realtà di questo Paese.
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consapevolezza dell’importanza dell’educazione, richiedono un’istruzione per i propri figli che
possa garantire l’insegnamento della lingua italiana per la trasmissione della propria cultura. Negli
ultimi anni si è assistito anche al fenomeno contrario al pendolarismo: fino ad un decennio fa, gli
italiani miravano a ritornare in Italia una volta concluso il percorso professionale/di studio, ora
invece progettano di stabilizzarsi nella capitale tedesca, per il modus vivendi che trovano, per la
vivacità e la continua evoluzione di questa nuova metropoli europea. I quartieri più popolati da
italiani che presentano una richiesta di asilo bilingue italo-tedesco sono concentrati prevalentemente
nel quartiere Mitte, Charlottenburg e di recente, ha subito una forte escalation il quartiere di
Prenzlauer Berg. L’esigenza di nuove strutture capaci di accogliere tale richiesta si fa quindi sempre
più pressante. Berlino come città si è piuttosto impegnata in tal senso grazie all’istituzione di scuole
ed asili bilingui per offrire ai bambini con background migratorio l’opportunità di mantenere la
lingua nativa e allo stesso tempo dare una possibilità di integrazione nella cultura e lingua del paese
ospitante (Doyè 2011: 52). Ciò rappresenta anche per i bambini tedeschi un’occasione per imparare
a “muoversi” all’interno di una lingua e di apprenderla in maniera autentica con la relativa cultura,
permettendo una equa considerazione delle lingue, con tutti i vantaggi che ne derivano in termini di
integrazione ed eguaglianza sociale.
Per “toccare con mano” la situazione attuale e trovare un riscontro pratico alle teorie sopra riportate,
ho visitato un asilo bilingue del quartiere Wildmersdorf-Charlottenburg, l”Asilo Italiano,
Arbeitskreis prakt. Pedaegogik e. V.”, uno dei più organizzati e consolidati della capitale.
Per capire un po’ la situazione della struttura, bisogna sottolineare che essa è presente a Berlino dal
1973, quando un gruppo di genitori italiani e dai collaboratori, sentendo l’esigenza di trasmettere la
propria lingua e cultura senza inficiare l’apprendimento della lingua tedesca e la futura carriera
scolastica, decisero di tentare tale esperimento. La scuola d’infanzia, un’associazione di modesta
entità, è approvata dal Senato di Berlino (Senatsverwaltung Berlin) e gode di una sovvenzione da
parte del Ministero degli Affari Esteri italiano. La conduzione e direzione dell’asilo è compito della
presidenza dell’associazione, che lo rappresenta pubblicamente. L’asilo è bene avviato e offre
un’ottima offerta didattica perché si avvale proprio della collaborazione dei genitori e in qualche
modo si gestisce autonomamente. In passato c’era un ricambio del consiglio dei genitori ogni tre
anni (più o meno al termine di ogni ciclo prescolare) e questo non garantiva una sorta di
“continuità” nei metodi da impiegare e nell’organizzazione della struttura ma successivamente,
grazie all’intervento del Senatsverwaltung che ha trasmesso le linee guida che l’asilo avrebbe
dovuto adottare, volte ad una politica educativa di una certa integrità. Oltre a ciò, si sentiva il
bisogno di una direzione che avesse garantito una certa stabilità, cosa che il ricambio dei genitori
non poteva assicurare: per questo si è scelto di gestire l’asilo con personale esterno,
indipendentemente dai genitori dei bambini frequentanti. I metodi didattici e i programmi da
adottare vengono così discussi congiuntamente, con gli insegnanti, e non a loro imposti. La Sig.ra
Mirella Lilli Mottola, amministratrice dell’asilo insieme alla direttrice Judith Isgen, ha avuto la
disponibilità e cortesia di rispondere ad una sorta di intervista in merito ai metodi didattici e allo
svolgimento quotidiano delle attività svolte, nonché mi ha dato la possibilità di rilevare diverse
informazioni sui bambini frequentanti l’asilo, in modo da confrontare tali dati con le ricerche e gli
studi finora effettuati nel campo del bilinguismo.
3.1 ORGANIZZAZIONE DELL’ASILO E SVOLGIMENTO DELLE
ATTIVITA’
Il team di lavoro si avvale dell’aiuto dei genitori, che svolgono un ruolo fondamentale di
aggregazione e aiuta i bambini a vivere il quotidiano, e allo stesso tempo permette loro di osservare
personalmente il comportamento e lo sviluppo dei propri figli.
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L’asilo è composto da due gruppi di bambini, nel complesso circa 34, con età compresa tra un anno
e cinque anni e presenta un buon rapporto tra numero di educatori e bambini, ideale per creare un
proficuo ambiente di apprendimento. Ogni gruppo ha circa 3 educatori: in tutto sono presenti 7
educatori, 2 ragazzi Erasmus Placement (tirocino retribuito con il fondo sociale europeo) un ragazzo
del progetto Leonardo Da Vinci (tirocinio retribuito riconosciuto a livello europeo) e un
Schulpraktikant (tirocinante). Ogni insegnante adotta il principio “one person, one language”, per
cui parla con i bambini nella propria madrelingua. E se il bambino non capisce, gli enunciati
vengono ripresi, ripetuti, si aggiungono dei gesti e la mimica, per rendere il messaggio più
comprensibile e immediato.
L’asilo bilingue insegna l’italiano e il tedesco e chiede come requisito fondamentale che le famiglie
dei bambini abbiano almeno una delle due lingue. Non è infatti essenziale che la famiglia sia italotedesca,
l’importante è che un genitore sia di lingua italiana o tedesca. I bambini infatti sono figli di
famiglie di italo-moldave, italo-francesi, di monolingue tedesche, monolingue italiane, italotedesche
e così via. Per quanto riguarda le famiglie italiane, maggiormente al centro delle nostre
attenzioni, devono essere consapevoli dell’importanza e delle responsabilità che un’educazione
bilingue presuppone, tenendo conto del contesto nel quale i propri figli si trovano. Si richiede di non
sminuire la cultura d’origine originando un bilinguismo “sottrattivo”, enfatizzando la lingua
seconda (quella tedesca in questo caso) a scapito dell’italiano, ma di integrare le due
armoniosamente. I bambini sono infatti “immersi”nella lingua tedesca grazie allo stare insieme ai
coetanei tedeschi e alla guida condotta dagli insegnanti madrelingua.
E’ importante infatti che i bambini crescano venendo a contatto quotidianamente, per quello che
concerne il loro “mondo”, con la cultura tedesca. Il richiamo fatto alla consapevolezza da parte dei
genitori dell’importanza del loro compito nel processo di acquisizione delle due lingue riguarda il
fatto che molto spesso essi non manifestino un atteggiamento positivo nei confronti dell’educazione
scolastica dei propri figli: per difficoltà linguistiche o perché non riconoscono la cultura in chi si
vengono a trovare non si rendono conto che l’istruzione, a partire da quella prescolare, è essenziale
per la buona riuscita scolastica dei figli e di un futuro professionale soddisfacente. In questo modo
non sfruttano neanche appieno i diritti di cui godono, e cioè garantire il massimo per l’istruzione dei
propri figli, pretendendo che essi imparino la lingua tedesca senza poi interessarsi in prima persona
di comprendere la lingua e la cultura del luogo in cui si risiedono. La scuola d’infanzia evidenzia
già in questo stadio i problemi di integrazione dei figli di migranti italiani che soffrono di una sorta
di sfiducia nella buona riuscita scolastica dei propri bambini se a loro volta hanno avuto difficoltà di
inserimento nella società tedesca con un conseguente scarso risultato scolastico.
Un altro punto importante che è emerso dalla conversazione con la Sig.ra Mottola è l”ansia di
apprendimento” che spesso i genitori trasmettono più o meno inconsapevolmente ai propri figli. Il
bambino bilingue non deve sentirsi “obbligato” ad imparare e produrre in due lingue, come non
deve sentirsi in colpa se commette degli errori nell’esposizione (praticando un code mixing) o se
sbaglia rivolgendosi in una lingua diversa da quella del destinatario; in tal caso, si dovrebbero
evitare frasi del tipo “no, con me ti devi rivolgere nell’altra lingua” o “no, tu sbagli sempre, devi
imparare questa lingua”, che non danno un aiuto ma che fanno seguire il bambino inadeguato alla
situazione. Di conseguenza, alcuni bambini si chiudono in una sorta di mutismo dove riescono a
comprendere ciò che viene detto nella lingua seconda ma poi si rifiutano di parlarla. Al contrario, i
genitori dovrebbero lodarli e sostenerli ogni qualvolta si presenti l’occasione adatta (nel caso di un
piccolo successo, una cosa nuova imparata per esempio).
Proprio per evitare che il bambino sviluppi un atteggiamento negativo nei confronti
dell’apprendimento bilingue, in asilo non c’è nessun tipo di forzatura: se il bimbo non riesce a
parlare tedesco ma già lo capisce, si deve mostrarne l’approvazione, cercando però di trasmettere la
gioia dell’apprendere le lingue, in modo che ciò venga recepito come un divertimento.
Come già detto in precedenza, l’Asilo Italiano ha scelto di pianificare le attività didattiche
congiuntamente con gli insegnanti, e non di imporle a scatola chiusa: questo permette di valutare
complessivamente le esigenze dei bambini, tenendo conto dei singoli casi, permettendo un
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insegnamento quanto più possibile vicino ai piccoli discenti. Per riscontrare infatti situazioni
delicate in cui il bambino presenta dei comportamenti di rifiuto o mutismo verso la lingua (o le
lingue) da imparare, sono essenziali i colloqui con i genitori, in cui si discute non solo dello
sviluppo cognitivo e logico del bambino, ma anche di quello linguistico.
Come ho avuto modo di vedere personalmente, tutti i progressi del bambino vengono annotati in
una sorte di diario che permette di monitorare i successi linguistici (o gli eventuali insuccessi, da
correggere gradualmente) dei piccoli: il cosiddetto Sprachenlernbuch. I bambini, alla fine del ciclo
prescolare, vengono testati per stabilire il livello linguistico raggiunto, per far sì che una volta
inseriti nella scuola primaria si sappia già come intervenire, grazie a questa sorta di “biografia
formativa”. Si sottolinea il fatto che il bambino è testato per la lingua tedesca (e non per quella
italiana) per un motivo molto semplice ed ovvio, ossia perché in futuro sarà la lingua che verrà
parlata a scuola e base essenziale per imparare tutte le altre materie. Grazie a questo sistema di
monitoraggio, i genitori sono sempre a conoscenza di ciò che i bambini imparano e se vengono
riscontrati dei problemi di linguaggio si può intervenire tempestivamente con l’aiuto di un
logopedista, a seconda dei casi, sempre tenendo conto delle difficoltà che un bambino nato da
famiglia monolingue italiana potrebbe avere nel pronunciare suoni come il “ch” o “sch”.
Per imparare la corretta pronuncia delle parole, l’intonazione e la comprensione dell’accento, oltre
al principio “one person, one language” tenuto sempre dal personale docente nella propria
madrelingua, si insegnano le lingue con l’uso di filastrocche, piccole poesie, racconti, recite e
canzoni. Giocando, i bambini entrano a contatto con la lingua e con la differente pronuncia,
imparano nuovi vocaboli, acquisiscono contenuti linguistici e culturali; un buon metodo che gli
insegnanti hanno sviluppato per l’apprendimento di nuovo parole e della loro relativa pronuncia è
quello di proporre dei giochi di linguaggio, ad esempio presentando dei vocaboli (generalmente in
lingua tedesca perché essa sarà poi sottoposta a valutazione finale) con consonanti differenti o
pronunciati in maniera errata, aspettando la conseguente reazione da parte dei bimbi. E’ bene
ricordare che il sistema di correzione nel caso di errori da parte del bambino non è mai diretto, per
evitare l’antipatia verso le lingue di cui si è appena parlato; le cose “errate” vengono semplicemente
ripetute finché lo stesso bambino non si rende conto dell’errore mentre in caso di episodi di code
mixing o code switching, più che normale a quell’età, gli enunciati vengono riproposti nella lingua
corrispondente all’insegnante madrelingua presente in quel momento.
Le famiglie possono trovare aiuto per continuare l’esercizio linguistico anche a casa grazie ad una
biblioteca/mediateca messa a loro disposizione dall’asilo: una raccolta di DVD e libri per bambini
da poter leggere ai propri figli, per disincentivare l’uso del dialetto a casa da parte dei genitori e
aumentare le ore di esposizione alle lingue, visto che la lingua che il bambino sentirà maggiormente
(e che risulterà in qualche modo più semplice da apprendere dato la specialità del rapporto) sarà
quella materna, non per vera preferenza, ma perché sono le mamme a trascorrere più tempo con i
figli rispetto ai padri che sono spesso più assenti a causa del lavoro. Una bella iniziativa messa in
atto dall’asilo è quella che avviene ogni lunedì: ogni bambino porta da casa un libro nella lingua che
preferisce tra (italiano e tedesco) e uno di essi verrà scelto insieme dai bambini e poi letto
dall’insegnante in classe.
I genitori, grazie alla collaborazione diretta, che come già detto, si dimostra con un ruolo attivo da
parte loro nei confronti dei rapporti con l’asilo, si possono render conto direttamente dei progressi
del proprio figlio: oltre ai colloqui, ritenuti un “punto fermo” nella linea educativa che l’asilo
percorre, i genitori dei frequentanti prestano a turno il loro servizio in cucina. Apparentemente può
essere considerata una cosa da poco, e invece si rivela di grande importanza per la socializzazione
dei bimbi e dei genitori stessi; il presentare i cibi del proprio paese di provenienza agli altri rende il
bambino in qualche modo fiero di poter trasmettere qualcosa di suo i propri compagni e il genitore
ha la possibilità di stringere una sorta di condivisone con i genitori degli altri bambini. Inoltre,
potranno osservare direttamente quale tipo di carattere mostrano i propri figli in pubblico, qual è la
personalità che essi esprimono in un contesto diverso da quello familiare. Da lodare il fatto che i
genitori, grazie a queste numerose attività, stringono dei veri rapporti di amicizia, si incontrano fra
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loro nel tempo libero e fanno incontrare i loro bambini, che percepiscono indubbiamente il clima di
fraternità che si viene a creare e trovano assolutamente normale rapportarsi con persone di altre
culture. Come la stessa direttrice ha confermato, l’asilo è cambiato molto grazie alla presenza dei
genitori, non è più visto come un luogo “asettico” in cui lasciare i figli durante l’attività lavorativa,
quindi considerandolo alla stregua di un “parcheggio”. Grazie alle diverse attività organizzate
dall’asilo (spettacoli teatrali, gite e visite guidate), si crea un rapporto diretto e di reciproca stima tra
il personale pedagogico, i bambini e le famiglie. Nondimeno, tale collaborazione permette alle
famiglie di comprendere l’importanza nel proseguire, laddove possibile, un’educazione ed
un’alfabetizzazione bilingue anche nella scuola primaria, assicurando una conoscenza della lingua
del luogo (il tedesco) come fattore di successo per la vita, senza dimenticare la “lingua madre” e le
proprie origini culturali.
Il bilinguismo aiuta i bambini considerati della minoranza a sviluppare una sorta di appartenenza, di
cui hanno estremo bisogno per poter raggiungere obiettivi che altrimenti non sarebbero in grado di
portare a termine. Per i bambini nativi, (monolingue tedeschi), rappresenterebbe invece un
potenziale culturale da prendere in considerazione e da sviluppare adeguatamente per far sì che
questi possano “vivere l’Europa”, (, Graf 2011: 26) dal momento che oltre ad un guadagno culturale
e cognitivo, ciò porterebbe in futuro anche un miglioramento delle loro capacità concorrenziali sul
mondo del lavoro. Riportando una citazione di Graf (2011: 27), “l’educazione bilingue rappresenta
la strada necessaria da percorrere per un’educazione in Europa e per l’Europa” (trad. libera). Il
grande vantaggio del bilinguismo risiede nella pari considerazione delle lingue e culture, che i
bambini considerano perfettamente normale stando a contatto con i loro pari di altra origine.
In conclusione, il bilinguismo rappresenta sia una chance che una sfida, ma ogni figura che
interviene nel processo di apprendimento deve assumersene la responsabilità, congiuntamente con
le istituzioni pubbliche, una sorta di responsabilità anche per le generazioni a venire (Graf 2011:
26).
Di seguito allego la trascrizione integrale dell’intervista avuta con la direttrice dell’Asilo Italiano,
Sig.ra Lilli Mottola.
DOMANDE TEORICHE
Inizio con una domanda provocatoria: perché dei genitori scelgono di iscrivere il proprio figlio
presso un asilo bilingue/questo asilo? Perché non scegliere di impartire al figlio un’educazione
bilingue solo in famiglia?
Ci sono diversi motivi per i quali dei genitori scelgono di mandare i propri figli in un asilo
bilingue:
- gli italiani: per paura; temono che i propri figli non riescano ad imparare la lingua tedesca e
quindi fatichino nell’inserirsi all’interno della società tedesca
- i tedeschi: perché ritengono importante che i figli imparino una cultura diversa dalla propria,
anche per far sì che diventino più tolleranti nei confronti degli altri;
- nelle coppie miste: perché hanno l’esigenza di mantenere vive nei figli entrambe le lingue e le
culture.
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Si dice che per poter sviluppare un bilinguismo “ottimale” si renda necessaria una stretta
collaborazione fra educatori, genitori e ambiente sociale. Come avviene tutto ciò? (per quanto
riguarda l’atteggiamento positivo, è chiaro che chi è coinvolto sarà interessato affinché il processo
di apprendimento avvenga nel miglior modo possibile).
La collaborazione con i genitori è importantissima, anzi basilare. L’asilo coinvolge i genitori su
più fronti: coinvolgendoli nelle attività proprie dell’asilo (es. cucinando), offrendo in prestito
materiale da utilizzare a casa (libri,dvd), organizzando viaggi. L’asilo stesso fornisce le
informazioni necessarie per compiere un viaggio in Italia, consigliato vivamente per “immergere”
il bambino nella lingua che si trova ad imparare giornalmente. La motivazione all’apprendimento
bilingue deve infatti partire innanzitutto dai genitori, cercando di far capir loro che ciò non
significa sovraccaricare i bambini. E’ importante far capire che se non imparano in quel momento
le lingue, i bambini non saranno in grado poi in futuro di fare altrettanto, perché crescendo si
perde la capacità di riprodurre suoni e modi di dire propri della lingua (o meglio, risulta
improbabile e difficile riuscire ad impararli in maniera ottimale).
Perché il bilinguismo è collegato allo sviluppo corporeo e psicologico dell’età prescolare?
Non è il bilinguismo in sé ad essere collegato, ma la delicata fase in cui si trova il bambino. Tutti i
giochi e le attività sono finalizzati allo sviluppo corporeo e psicologico, quindi si cerca di
immettere l’imparare le due lingue in questo contesto.
Come si instaura nei bambini la consapevolezza di essere bilingui, così da incentivare la
motivazione a imparare e parlare in due lingue?
Dipende dalla situazione in cui i bambini si trovano. Nella Primina ad esempio (il gruppo che si
prepara ad andare a scuola) vengono messi in atto dei progetti che coinvolgono attivamente i
bimbi. In questo stadio si rendono conto che possono “scegliere” di usare una o l’altra lingua nel
rispondere: quale sia quella appropriata in quel dato momento dipende dall’insegnante che si
trovano di fronte (se tedesca o italiana) o dalla lingua che viene parlata in maggioranza (se la
maggior parte dei bimbi parla in quel momento italiano, gli altri si adattano). Non si sentono
“speciali” rispetto agli altri, ma hanno la consapevolezza delle due lingue: non traducono gli
enunciati, ma utilizzano i modi di dire propri della lingua.
Il bambino impara le lingue tramite il bisogno di comunicare; attraverso l’imitazione di alcuni suoni
e parole; attraverso l’associazione con oggetti o situazioni. Mi può brevemente enunciare i
mezzi/metodi finora riconosciuti più efficaci?
Con la lettura di fiabe, filastrocche, cd audio, giochi di ruolo.
Nel sito dell’Asilo Italiano viene affermato che “l’asilo offre continuamente la possibilità del
naturale passaggio da una lingua all’altra”. Alcuni studiosi considerano però tale fatto in maniera
negativa, perché questo incentiverebbe la mescolanza delle lingue. In quale modo avviene questo
“passaggio”?
Non è un fatto negativo il passaggio fra le due lingue, anzi. Il cosiddetto “umschalten”, il passare
consecutivamente da una lingua all’altra, senza tradurre, permette al bambino di esprimere i
concetti nella lingua in cui lo sa dire, ma comunque lo dice. Le insegnanti fanno in modo di
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ripetere il concetto anche nell’altra lingua se quella al momento utilizzata è diversa. Importante: le
due lingue, infatti, non vengono studiate separatamente, ma contemporaneamente, si affiancano, e
questo rende naturale tale passaggio. Bisogna però fare attenzione che il bambino non presenti
delle abitudini particolari (es. utilizzo solo di una lingua o difficoltà nell’esprimere dei concetti),
affinché si possa notare se ci siano problemi effettivi di linguaggio.
Anche con l’acquisizione contemporanea di due lingue, il bambino in genere ne apprende una
meglio dell’altra. La lingua più forte è la lingua madre, che viene però ampiamente influenzata dalla
lingua dell’ambiente. Nel caso di coppie miste, quale delle due lingue predomina? Quella
corrispondente al Paese in cui il bambino vive? O c’è un rapporto particolare con la lingua della
figura materna (es. viene appresa più velocemente rispetto a quella del padre)?
Che ne acquisisca una meglio dell’altra… nì. Alcune cose sono più facili per il bimbo in una
lingua, altre nell’altra. Non è neanche vero che la lingua più forte è la lingua madre: dipende
molto dal contesto, dal luogo in cui si trova il bambino. Se la famiglia è italiana e si trova in
Germania, ed il bambino nasce in Germania, la lingua “forte” è il tedesco, dal momento che il
soggetto si trova circondato da continui stimoli provenienti dall’ambiente. Se però lo stesso
bambino si reca in visita ai nonni in Italia, la lingua “forte” diventa automaticamente “debole”.
Nel caso di coppie miste, predomina la lingua dell’ambiente MA la lingua della mamma viene
appresa più velocemente per il contatto continuo con il genitore (il papà di solito è più assente).
In alcune circostanze i bambini potrebbero sviluppare una mescolanza linguistica. Questo fenomeno
si verifica con una certa frequenza all’inizio, ma tende a sparire in seguito nella maggioranza dei
casi. Qual è la condotta da tenere in caso di mescolanza delle lingue (ad es., correggendo il
bambino)? Nei casi in cui tale mescolanza si protrae nel tempo, c’è il rischio che il bambino
sviluppi delle serie difficoltà o “lacune” nella prosecuzione del percorso scolastico?
Nel caso di mescolanza, la frase è ripetuta in maniera completa in una delle due lingue (secondo il
contesto, se in quel momento si sta parlando tedesco o italiano), senza correggere “direttamente”
il bambino. La mescolanza è in ogni caso più che normale nel lavorare sull’apprendimento di due
lingue affiancate. In merito alle lacune, bisognerebbe “monitorare” i bambini durante il percorso
scolastico perché una volta finito il ciclo prescolare l’asilo ha terminato il proprio lavoro; sta di
fatto che sembrerebbe di no, le lacune che possono venirsi a creare (per esperienza personale della
testimone, ndr) sono rappresentate dalla non conoscenza di alcuni vocaboli.
Se il bambino presenta una sorta di rifiuto di parlare una seconda lingua, come viene incentivata la
motivazione all’apprendimento della lingua “rifiutata”?
Se il bambino si “rifiuta” di parlare una delle due lingue, non c’è un vero rimedio. Di solito i
bambini che hanno tali problemi ricevono pressioni da parte dei genitori (“devi dirmelo in tedesco,
perché non lo sai dire anche in italiano?”). Per questo è importante che i genitori non forzino mai i
figli, e che evitino di porre domande o ordini che possano indurre il bambino a sviluppare una
sorta di antipatia verso la lingua.
Quali sono i cosiddetti vantaggi “visibili” che il bambino bilingue presenta nel processo di sviluppo
rispetto ad un coetaneo monolingue?
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Il bambino bilingue non presenta differenze a livello intellettivo rispetto ai coetanei monolingui: ha
però una maggiore capacità interpretativa degli eventi e degli enunciati, perché è allenato a dare
una doppia interpretazione a tutto ciò che lo circonda, per esempio rendendosi conto che ad un
oggetto corrispondono due nomi. Tale pensiero non si presenta nel ragionamento di un bambino
monolingue. Per i bimbi bilingui è invece un pensiero automatico.
So che è difficile stimare gli “svantaggi” del bilinguismo (la sottoscritta è favorevole al
bilinguismo), potrebbe comunque provare a elencarne qualcuno, nel caso ci siano?
Non ci sono. Lo svantaggio consiste nei pregiudizi da parte degli adulti.
Il tipo di bilinguismo sviluppato dai bambini si può classificare come bilinguismo precoce e/o
simultaneo?
Nell’asilo vengono sviluppati entrambi.
DOMANDE SULLE ABITUDINI/BACKGROUND MIGRATORIO
Il bambino guarda molta televisione? Se sì, in quale lingua? Guarda film in lingua alla scuola
materna/a casa? E’ lui che suggerisce di vederli in una determinata lingua?
I genitori che grado di istruzione hanno? Sono residenti da tanto tempo a Berlino?
Se migranti, intendono poi ritornare in patria?
Di solito i bambini guardano molta televisione, ma questo dipende anche dal livello di istruzione
dei genitori. La lingua in cui guardano la tv è generalmente il tedesco (per ovvi motivi). Nell’asilo
non vengono usati filmati, vengono raccontate storie in entrambe le lingue e fatte ascoltare
canzoni, ma i genitori spesso comprano dei dvd in lingua per i bimbi o possono prenderli in
prestito dall’asilo. A volte i bambini “scelgono” di vedere un film o di sentire un racconto in una
determinata lingua.
I genitori hanno un livello di istruzione medio-alto (in passato non era così, la situazione è
migliorata da circa 8-10 anni a questa parte). La maggior parte delle famiglie è residente da breve
tempo a Berlino (sono coppie giovani). Il 10% circa dei genitori è invece residente qui da
parecchio tempo (seconda o terza generazione). Da 7-8 anni i migranti non vogliono più ritornare
in Italia.
Qual è la composizione familiare? I genitori sono entrambi non madrelingua/uno solamente
madrelingua/entrambi madrelingua? Se la famiglia è “mista”, chi è italiano madrelingua? Sono più
mamme o papà?
La composizione familiare è varia: la maggior parte è mista italo-tedesca (uno dei due genitori è
tedesco o italiano), o mista italiana/ un’altra lingua (papà italiano, mamma moldava, mamma
italiana, papà polacco).
Il criterio di ammissione all’asilo è che ALMENO uno dei due genitori sia tedesco o italiano. (es.
un bambino con entrambi genitori francesi non viene ammesso). Solitamente è il papà di
madrelingua italiana.
Qual è il grado di istruzione dei genitori? Sono dei genitori presenti? Hanno dei nonni che li
supportano?
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Il grado di istruzione è diploma superiore/laurea o anche più (master, dottorato). La mamma di
solito è molto presente, i padri meno perché lavorano di più. Un’alta percentuale ha dei nonni non
italiani che supportano la famiglia, gli altri hanno nonni italiani che comunque si spostano molto.
Quali sono i giochi che il bambino fa a casa?
Sono pochi, perché i bambini in questione sono solitamente “a tempo pieno”, in altre parole non
hanno tempo libero a sufficienza da dedicare al gioco. Alcuni hanno la fortuna di avere fratelli
maggiori quindi giocano con loro. Gli altri fanno molto sport o prendono lezioni di inglese.
Se il bambino deve porre una domanda o esprimere una richiesta (es. per andare in bagno), quale
lingua usa?
Dipende principalmente dall’età e dalla persona che si trova di fronte in quel momento (se di
madrelingua tedesca o italiana).
Il legame con le due culture viene stabilito anche con i cibi?
Sì, ogni genitore a turno cucina per l’asilo i piatti tipici del proprio Paese. I bimbi, pur esprimendo
le proprie preferenze, accettano di buon grado tale decisione.
I bambini sono già stati in Italia? Se sì, con quale frequenza?
Sì, quasi tutti loro. I genitori incentivano i viaggi in Italia anche con qualche piccolo “regalo”,
come libri in lingua, giochi istruttivi, cd di canzoni per bambini.
I bambini nati da coppie miste mostrano un’apertura nei confronti degli altri maggiori rispetto a
bambini nati da genitori che parlano la stessa lingua?
I bambini mostrano un’esposizione verbale più completa e più vasta; questo dipende, come già
detto, dal fatto che hanno più “scelta” nel definire le cose: possono scegliere di esprimerle in una
lingua o nell’altra. Hanno una padronanza della lingua maggiore. Inoltre, si dimostrano più aperti
e tolleranti nei confronti degli altri. Infatti, un monolingue tedesco avrà un’educazione tipicamente
“tedesca” e anche il modo di approcciarsi sarà tipico della sua cultura; il bilingue mostra
caratteristiche di entrambe le culture, anche se bisogna considerare il background singolo che
influisce molto. Ciò si evince subito nel momento del gioco, soprattutto in quelli di ruolo: i
monolingui italiani hanno i “vizi” tipici dei bambini italiani, sono più facilmente sotto la guida di
genitori iperprotettivi, (da considerare: anche solo per organizzare un’escursione in Italia c’è
bisogno di molta burocrazia in relazione a permessi dei genitori, comunicazioni ecc.,, mentre in
Germania le cose sono un po’ più “alla mano”).
L’apertura nei confronti della “controparte” italiana o tedesca viene incentivata anche con i viaggi
organizzati (attività esterne).
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BIBLIOGRAFIA
Balboni P.(2004), “Quali competenze e quante lingue in un curricolo scolastico?”, in I ragazzi
italiani nel sistema scolastico tedesco: problemi e prospettive (Italienische Jugendliche im
deutschen Schulsystem: Probleme und Perspektiven), Atti del Congresso Berlino 9-11 settembre
2004, a cura di Dieter Kattenbusch & Gerardo Ugolini, Haus des Buches, Verlag Chrisine Lindner,
2006, Regensburg
Baker C. (2001), Foundation of bilingual education and bilingualism (3rd ed), Clevedon, UK,
Multilingual Matters LTD.
Bialystok E. (2005), Bilingualism in development: Language, literacy, and cognition (Second
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RINGRAZIAMENTI
Si ringrazia per la disponibilità nel rispondere all’intervista la Sig.ra Mirella Lilli Mottola e per la
gentile concessione della visita all’asilo la Sig.ra Judith Isgen e tutto il team di lavoro dell’ “Asilo
Italiano”, Arbeitskreis prakt. Pädagogik e.V., Badensche Str. 29, 10715 Berlin.
Si ringraziano altresì il Primo Consigliere per gli Affari Sociali Lelio Crivellaro, il Primo Segretario
Tommaso Sansone e la Dirigente dell’Ufficio Scuola Dot t . s s a Ada Aimonetto
dell’Ambasciata d’Italia a Berlino per avermi concesso di eseguire la presente attività di ricerca.
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