26 giu 2012

Corruzione in Italia, un male antico -


Il 14 giugno scorso la Camera dei Deputati ha approvato, in prima lettura, la conversione in legge del cosiddetto decreto anticorruzione (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione). Il movente parte dalla ratifica della Convenzione europea sulla corruzione, risalente al lontano 1997 e mai ratificata dal nostro Paese, abbinata  alla discussione del disegno di legge anticorruzione, approvata dal Senato in giugno 2011 e finita nel dimenticatoio. La vicenda ha coinciso poi, emblematicamente, con il ventennale di “Mani pulite”, l'ondata d'inchieste sulla corruzione in Italia che fece cadere la Prima Repubblica.

Che quest'ultima non sia bastata a sconfiggere questa piaga lo confermano le più recenti inchieste e condanne penali che ci mostrano quanto il problema della corruzione sia più esteso e grave di quanto non si pensi, addirittura più di quanto non lo fosse all'epoca di Tangentopoli, in cui toccava prevalentemente la gestione dei partiti. Oggi questa piaga, oltre ad investire in pieno la pubblica amministrazione, mostra ampie collusioni col mondo della finanza e dell'imprenditoria. Il problema riguarda e preoccupa non solo l'Italia, ma tutte le amministrazioni pubbliche del mondo; da qui la necessità di coordinare tutti gli sforzi a livello planetario e la colpevole assenza del nostro Paese in questo campo, che sottoscrive una importante convenzione internazionale e attende dodici anni per ratificarla non avendo legiferato in materia, dotandosi di uno strumento normativo per combattere la corruzione.
Il problema, dunque, è molto serio perché il fenomeni corruttivi divorano gran parte del PIL mondiale. Dando uno sguardo in giro ci rendiamo conto che l'inefficacia dei mezzi opposti alla corruzione in ambito pubblico è dimostrata dalla crescita costante che questa sta conoscendo in tutto il mondo, aggravata ultimamente anche dalla recessione economica.
Contrariamente a quanto si crede, è proprio l'ambito economico a mostrare le principali responsabilità, per gli intrecci che rivela col potere politico. La tedesca Transparency International, per esempio, nel 2010 ha monitorato 500 importanti aziende sotto il profilo delle pratiche anticorruzione da queste adottate, stabilendo che la loro media non superava i 17 punti in una scala di merito che andava da 1 a 50. Una società di consulenza commerciale, laPricewaterhouse Coopers (PWC), sulla base di uno studio effettuato sugli ultimi dieci anni a partire dalle risposte  fornite da 3000 imprese di 54 nazioni, conferma egualmente questo dato.
Un terzo degli intervistati di queste aziende ha riconosciuto di essere stato esposto a crimini economici soprattutto a contatto con i Paesi in via di sviluppo, in testa la Russia, e in particolare nel ramo dei servizi finanziari e delle comunicazioni o quando ha avuto a che fare con grandi aziende o imprese a proprietà statale. Le fattispecie di crimini più frequenti sono state furti, frodi contabili e corruzione; ma soprattutto le frodi, che hanno sopravanzato la corruzione tra il 2003 e il 2009 (40% contro il 27%). Queste si registrano in particolare a livello di medio management e hanno conosciuto un'impennata negli ultimi due anni a causa dell'abbassamento degli standard di vita dovuti alla recessione economica, passando dal 26 al 42% dal 2007 al 2009.
Negli Stati Uniti in questi ultimi anni l'organismo governativo contro le pratiche di corruzione dei funzionari pubblici, l'America's Foreign Corrupt Practices (FPCA), ha avuto un gran daffare in primo luogo contro le imprese pubbliche cinesi. Ossia contro delle aziende  provenienti da un paese dove, nonostante le severissime pene previste per questi comportamenti, gli operatori ricorrono quasi sempre alle tangenti per introdurre le loro merci.
Questo comportamento è incoraggiato tuttavia dalle stesse aziende americane dal momento che, facendo leva sulle debolezze dei loro clienti, preferiscono pagare viaggi e vacanze (particolarmente in località come a Las Vegas) agli avidi funzionari delle imprese pubbliche cinesi piuttosto che fargli visitare le fabbriche. Accanto a quello americano anche il governo inglese si sta attrezzando con leggi anticorruzione ancora più severe, benché in molti nel mondo anglosassone incomincino a chiedersi se per caso questo rigore a senso unico alla fine non faccia scappare le imprese straniere dai loro paesi dirottandole verso altri molto più “accomodanti”.
L'Italia, che nel 2008 era stata collocata da Transparency International, in termini di corruzione percepita, al 63° posto su 178 paesi analizzati, subito dopo il Ruanda e prima della Georgia, nel 2011 è già balzata al 75° posto. Nel Belpaese la “Relazione annuale” del Procuratore Generale della Corte dei Conti del 2010 ha nondimeno confermato questa impressione segnalando una crescita inarrestabile della corruzione. Infatti, dal 2008 al 2009 – anno di riferimento dell'analisi dell'alto magistrato – le denunce per corruzione sono cresciute del 229 per cento mentre quelle per concussione del 153 per cento (nel primo caso il funzionario pubblico viene corrotto, nel secondo sollecita la corruzione). Significative le entità delle condanne per danni inflitte dalla Corte dei Conti: dal 2000 al 2009 sono passate da oltre 88 milioni di euro ai 246, di cui in quest'ultimo anno ben 24 hanno riguardato le frodi alla Unione Europea. Per il 2010 la medesima Corte ha segnalato un incremento dei fatti di corruzione nella pubblica amministrazione italiana di un buon 30% superiore all'anno precedente. Per il 2011 addirittura la Corte dei Conti ha parlato di un esborso pubblico che, a causa della corruzione, si aggira sui 150 miliardi l'anno.
Che dietro queste cifre ci sia una specifica mancanza di volontà di colpire la corruzione, soprattutto in casa nostra, come si è detto, è dimostrato dal fatto che l'Italia, dopo aver sottoscritto gli accordi internazionali ed europei per colpire la corruzione al momento non ha adottato le misure che quest'adesione comportava. In particolare non ha adottato quelle che mirano a colpire i membri delle assemblee elettive in esse coinvolti. In Usa questo avviene attraverso i cosiddetti “test d'integrità” che, in pratica, consistono nell'avvicinare i nuovi eletti da parte di funzionari di polizia che si fingono corruttori: se gli “onorevoli” abboccano vengono immediatamente arrestati ed espulsi dall'assemblea legislativa. In Italia invece vi è una sostanziale impunità per i reati legati alla corruzione, dal momento che le pene previste non superano i cinque anni e alla fine gli inquisiti, tra attenuanti e condizionali, finiscono per non varcare mai la soglia del carcere. In pratica l'unica pena che, alla fine, riesce a essere inflitta a chi è accusato di corruzione è la gogna mediatica che, tuttavia, finisce per essere ingiusta dal momento che può colpire anche le persone innocenti.
Nel Paese oggi è alta la richiesta di pulizia, in primo luogo nei confronti delle forze politiche. Per questo è necessario far sparire dall'orizzonte tutti quegli ostacoli che minano la fiducia della gente nei confronti dell'intreccio politica e affari, non limitandosi solo a intervenire sul finanziamento pubblico dei partiti ma soprattutto ad agire a fondo contro il tarlo della corruzione che mina tutto il paese e abbassa il nostro livello di civiltà.


On. Franco Narducci

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